Non è chiaro chi comanda, manca il coraggio di azzerare tutto

(...) Per chi avesse perso alcune puntate della Soap, mi riferisco alla serie «Qualche sciopero, senza pretese, lo abbiamo anche noi qui in paese» in scena al Carlo Felice da settimane.
Il Giornale se ne è occupato più volte: il sistema su cui si reggono gli Enti Lirici è al collasso e risucchia come una voragine i malcapitati Enti Locali. A loro volta gli Enti Locali, nel caso specifico il Comune di Genova, sembrano non volersi rendere conto che lo scontro deve essere frontale, che il sistema deve saltare per rinascere, per essere rifondato su basi sane. Il ruolo del sovrintendente, dicevo in un articolo di qualche tempo fa, è come quello del Mister per una squadra di calcio. Se Presidente e Mister non vanno d'accordo la cosa va risolta senza compromessi: o si ritrova la fiducia piena e allora il Mister va avanti potendo svolgere fino in fondo il proprio compito oppure fa fagotto e se ne va. Cercare una terza via che implichi il ridimensionamento del ruolo del Sovrintendente, affiancandogli un commissario politico, racconta solo o la totale incomprensione di cosa sia un teatro o, peggio, un senso di risparmio genovese dettato dalla paura di pagare una «buona uscita» a Di Benedetto. Pensare poi che un Direttore Artistico di nome venga a lavorare qui, in una situazione di tensione irrisolta e dove non è chiaro chi comandi, è una pietosa utopia.
Eppure Genova, navigando nello splendente anonimato della medio bassa classifica degli Enti Lirici, potrebbe conquistarsi un ruolo di primo piano divenendo la città dove si va allo scontro totale con i sindacati e si riparte dalle fondamenta dell'Ente: tagliando i costi di struttura, rendendo autonoma l'orchestra, affidandosi ad una impresa di servizi per la parte tecnica.
Così in realtà pensano anche i politici, te lo dicono ma a microfoni spenti, al bar. E a quelli di sinistra mi riferisco. Di sinistra sì, ma non stupidi; se ne rendono conto ma, per logiche che mi sfuggono, preferiscono far finta di non poter affrontare la questione in modo definitivo. L'adagio è sempre lo stesso: che tutto cambi purché tutto resti uguale.


E la Cultura a Genova, quella dei teatri in particolare, resta bloccata tra Monarchici e Bolscevichi: le Istituzioni o hanno dei Reucci a vita che (pur amministrando denari per lo più pubblici) possono tramandarsi, secondo l'asse ereditario, i loro feudi o sono sotto lo scacco di un manipolo di sindacalisti. In mezzo i politici: indifferenti, non competenti o aspiranti divi, pronti a salire sul palco convinti di finire in un «reality» dove «l'esserci» è già «Essere».

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