Non la si negava nemmeno ai condannati a morte, ora ci vorrebbero condannare a vivere con la sigaretta spenta. Fumare è un meraviglioso errore. Come buona parte dei vizi. Poco importa che la sigaretta sia vera o finta, elettronica o analogica, bruci o scaldi, sia liquida o composta di foglie di tabacco. E quelli che bistrattano le nuove sigarette sono solo degli snob. Si fuma da sempre e - in un modo o nell'altro - lo si farà sempre. Tutto ebbe inizio più di mille anni prima di Cristo nei riti religiosi di Maya e Aztechi, poi un certo Jean Nicot, ambasciatore portoghese in Francia, a metà del 1500 promosse il tabacco come sostanza medicinale. Senza sapere che avrebbe prestato il suo nome a una delle sostanze tossiche più diffuse della storia: la nicotina. Il successo brucia ancora dopo mezzo millennio e nessun pompiere salutista è riuscito a spegnerlo.
Un errore, dicevamo. Lo sanno anche i sassi che fumare fa male, gli avvisi menagrami e le foto horror stampate come manifesti funebri sui pacchetti sono a prova di scemo. Eppure i tabagisti resistono nella loro riserva indiana. Emarginati dai ristoranti, rinchiusi in fetidi sgabuzzini nei luoghi di lavoro e negli aeroporti.
Ma d'altronde non si può vivere da malati per poi essere i più sani del cimitero.
La sigaretta, oltre che vizio, è anche rito e simbolo. Fra le dita di Drieu La Rochelle, mentre accarezza un gatto seduto sulla poltrona di un lussuoso salotto, è puro dandismo. Strappare la sigaretta dalle mani a certe icone significherebbe distruggerle. E, difatti, a Hollywood, le bionde, dopo un periodo di proibizionismo, sono ricomparse nelle pellicole. Cosa sarebbe stato Humphrey Bogart senza la sigaretta in bocca? E il commissario Maigret senza la pipa a scaldargli il palmo della mano? Impresa ardua trovare una foto di Oriana Fallaci senza una sigaretta sistemata tra le sue acute e sensuali dita. La cenere incandescente sembra quasi la gemma di un anello.
«Non capisco come sia possibile non fumare - diceva Thomas Mann -, è come rinunciare alla parte migliore della vita». Il fumo è dissolvenza, la trasfigurazione gestuale del cupio dissolvi. Fra le dita di alcuni diventa voglia di sprecare una vita anodina nella spirale del piacere, dell'effimero.
La crociata contro il tabacco è entrata anche in chiesa, e, negli Stati Uniti, alcune chiese offrono messe «incense free». A differenza del vino, il tabacco in chiesa è sempre stato straniero. Ci si immagina il parroco in sacrestia che beve un bicchiere di vino dimentico che sia sangue di Cristo; difficilmente ce lo si figura con una sigaretta. La sigaretta è peccato, più del vino. Perché non disseta, non nutre.
Non serve a niente, se non a un piacere nascosto ed incomunicabile. Perché il vero piacere non sfoglia il dizionario per specchiarsi in una parola, è sensuale e quindi tremendamente soggettivo, non si può comprendere ma solo intuire.
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