«Non ci sarà l’invasione romena Il nostro lavoro serve ai milanesi»

È ancora buio e già si allunga la fila di romeni sotto il Consolato generale della Romania a Milano, ma al secondo piano della palazzina rossa potranno salire soltanto dalle nove del mattino. A due passi da piazzale Lotto, un serpentone con l’accento dell’est resiste al freddo pungente discutendo di aspirazioni e delusioni. Progetti «per cambiare vita». Spiccano uomini in tuta sporca di cemento e donne ingioiellate, a braccetto di distinti signori, italiani, con molti più anni di loro. Tutti i giorni così o quasi, con la pioggia e con il sole, i cinquemilanovecento romeni di Milano (dati anagrafe comunale) sono sfilati davanti al cancelletto in ferro di via Gignese 2. Dal primo gennaio possono vantarsi dello status di cittadini europei, quindi - per chi un lavoro ce l’ha già - ciò significa continuare d’ora in poi a proporsi sul mercato senza pensare a decreto flussi, sportelli unici, visti di ingresso e consigli degli avvocati.
A poco sembrano essere servite le parole del console generale, Mircea Gheordunescu, che invitava alla cautela: «Non c’è alcun bisogno urgente di presentarsi qui in massa. Con l’ingresso della Romania in Europa, in sostanza cambia ben poco. Non siamo ancora entrati nello spazio Schengen, intanto un romeno irregolare può chiedere un permesso di soggiorno di 90 giorni e trovare occupazione entro quel termine» precisa il console. Chissà se lo hanno ascoltato i suoi connazionali. Molti di loro sono qui solo per sapere «che cosa succede adesso». La maggior parte è accorsa per questioni prettamente burocratiche, tanti per emergere dalla clandestinità di un impiego fino a ieri in nero, alcuni per programmare un viaggio verso la terra d’origine. Come Mihaela, insegnante, da quattro anni in città e un bambino lasciato a Bucarest. «Non lo vedo da un anno, vado a trovarlo. Magari ora potrò portarlo con me». Cerca un biglietto di ritorno anche Stefan, trent’anni, ma per motivi del tutto diversi. «Sono arrivato in Italia per lavorare, volevo dimenticare la povertà del posto in cui sono nato. Niente di più difficile, non ci sono riuscito. Ora ho finito i soldi, stanotte ho dormito sulla panchina di un parco. Chiederò aiuto al console per tornare a casa». Storie ordinarie e allo stesso tempo «speciali». Marco è un ragazzino che tiene per mano una signora visibilmente commossa. «Non è mia madre ma è come se lo fosse. Praticamente mi ha cresciuto lei. Ora potrà vivere per sempre a casa nostra».
Operai, muratori, colf, badanti, insegnanti, ma anche studenti universitari, impiegati nel terziario e imprenditori - secondo la Camera di Commercio sono 1.316 solo in provincia. La Romania che vive da noi e intende restarci ha accolto con entusiasmo la fatidica conquista della 27ª stella sulla bandiera comunitaria. «Una data storica. Ora sì che possiamo considerarci vostri concittadini», è il coro pressoché unanime.

«Il passo decisivo, però, è quello dell’integrazione», sottolinea il console Gheordunescu. E a chi prospetta improvvise «invasioni barbariche» di 40mila romeni, risponde: «Nessun problema, avete bisogno come il pane della nostra manodopera».

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