«Non fui io la spia che tradì Donat-Cattin»

da Milano

Roberto Sandalo, nel libro di Cossiga c’è anche lei. L’ex presidente avvertì Carlo Donat-Cattin che il figlio era ricercato come terrorista. Donat-Cattin scoppiò a piangere e gli disse che sperava di mettersi in contatto con Marco attraverso di lei.
«Cossiga sostiene che invitò Donat-Cattin a dire al figlio di consegnarsi. Ma il padre mi fece tutto un altro discorso».
Quale?
«Mi convocò a casa sua, a Torino, la mattina del 25 aprile 1980. Erano le sette e mezzo, aveva il pigiama a righe e gli occhialoni. Venne subito al dunque: ieri sera Cossiga mi ha detto che Patrizio Peci ha parlato. Mio figlio è in Prima linea ed è uno dei capi. Cossiga mi suggerisce di dirgli di scappare all’estero perchè se lo pigliano in Italia, con le elezioni in vista, è un casino. Il senatore e la moglie continuavano a ripetere: andiamo a prenderlo, partiamo subito. Io li fermai: non so dov’è. Dovete pazientare. Io e Marco eravamo usciti da Prima linea nell’ottobre precedente, portandoci dietro un terzo circa dell’organizzazione, sapevo a mala pena che era a Brescia. Poi ero preoccupato; avevamo tutti e due sulla coscienza reati da ergastolo e non sapevo nemmeno che Peci si era pentito, ma il ministro del Lavoro mi rassicurò: Sandalo stia tranquillo, lei è in una botte di ferro».
Insomma, che cosa decise?
«Aspettai il lunedì e la fine del ponte. Il 28 andai a lavorare alla Simca e feci alcune telefonate. Alle due e mezzo un contatto mi richiamo: Marco è stato avvisato, ti ringrazia. Mia mamma parlò con la signora Amalia che però era tesissima e si autoinvitò a cena a casa nostra. E a cena accadde l’incredibile: una telefonata per la signora Amalia. Tornò a tavola felice».
Perchè?
«Disse che era il convivente della figlia che, guarda la combinazione, aveva incontrato a Milano Marco: tutto ok».
Poco credibile?
«Inverosimile. Qualcuno, ai piani alti delle istituzioni, confermava il mio contatto: Marco era in fuga. Accompagnammo Amalia a casa sua, tornammo a Mirafiori: polizia da tutte le parti. Scappai. Ma dove? Prima linea mi voleva morto».
Dunque?
«Andai nell’unico posto dove non mi avrebbero cercato: da Maria Pia Donat-Cattin, la sorella di Marco. Ma non avevo vie d’uscita: ero il figlio di un operaio, non di un ministro. La mattina dopo andai in fabbrica e lì un agente della Digos, travestito da autista, mi puntò una pistola alla tempia. Querelerò Cossiga quando dice che ero stato catturato e rimesso in libertà a seguito di un accordo fra il giudice Caselli e la polizia per utilizzarmi come agente provocatore contro Marco.

Una follia: perchè non accetta un confronto con me in tv? A novembre però i carabinieri di Dalla Chiesa mi mostrarono le foto di Marco scattate col teleobiettivo a Parigi. Confermai: è lui. Così anche Donat-Cattin fu blindato».

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