Per non sbagliare marchio, il Pd imita Forza Italia

Per non sbagliare marchio, il Pd imita Forza Italia

da Roma

Nicola Storto, il 25enne che ha disegnato il nuovo simbolo del Partito democratico, rivela: «Mi sono ispirato alla bandiera italiana. Ho voluto trasmettere un senso di semplicità unito a leggerezza e armonia». Originale. Originalissimo. Alberto Lo Sacco, uno dei giovani emergenti del Pd, aggiunge un dettaglio di retroscena: «Abbiamo comparato il bozzetto con tutti gli altri simboli politici esistenti nel mercato elettorale. Lo abbiamo trovato bello, innovativo, e del tutto originale».
Sarà pure originale, questo simbolo: ma a quanto pare, nel sofisticato loft del Pd - quando è stato deciso il nuovo logo del partito - ha preso in considerazione l’emblema di Forza Italia (stessa scelta cromatica, ispirazione e colori). Il nuovo simbolo del Pd si distingue iconograficamente perché punta sul lettering dei caratteri invece che sulla grafica, e sviluppa l’immagine e la tricromia a partire da due grandi lettere «P» o «D» (l’una rossa e l’altra verde, in campo bianco) che sovrastano un piccolo ramoscello di ulivo (ma il logo originario è ormai ridotto a minuscolo bonsai). A prima vista può sembrare il simbolo di un partito conservatore portoghese o svedese, una di quelle stranezze che si trovano sulle targhette degli uffici dei gruppi parlamentari a Strasburgo, un logo farmaceutico. Ma Walter Veltroni dice che «a Romano Prodi è piaciuto». E che questo - a sua volta - gli fa «molto piacere». Aggiunge che il bozzetto è stato scelto tra altri undici. Per Rosy Bindi è «un bel simbolo solido che esprime solidità». A Enrico Letta piace la scelta (proprio perché «originale», forse) del tricolore: «Giusto inserirlo». E Veltroni spiegava: «I tre colori rappresentano l’Italia e corrispondono alle tre grandi culture che sono nel Pd: il verde è la cultura ambientalista e quella laica, il bianco è il solidarismo cattolico e il rosso è la tradizione socialista. La sintesi è molto moderna e forte. È un simbolo rivolto al futuro, un segno fresco e vivo». Tutto questo sarà sicuramente vero. Ma quasi diverte ricordare cosa dissero i leader del centrosinistra (gli stessi) quando nel 1994 Forza Italia scelse il «suo» tricolore: che era una invasione di campo; una scimmiottatura para-calcistica; una banalizzazione «pubblicitaria». Oggi, dopo 13 anni, anche il centrosinistra approda agli stessi lidi, dopo una vera e propria odissea semantica e iconografica: tutti ricordano, ovviamente, lo strip tease graduale dei Ds, che sono partiti Democratici e di sinistra, con il simbolo del Pci ai piedi della Quercia. Ma approdati alla meta nudi, senza più «partito», senza più falcemmartello guttusiana, con una Rosa socialista (poi «scippata» dallo Sdi).

I postdiccì, a loro volta si sono bruciati uno scudo, un «araldo dei comuni» (era lo sfondo del Ppi), le famose «centopadelle» (il modo sarcastico con cui Giuliano Amato definiva «Centocittà», il movimento dei sindaci), un Asinello disneyano, e poi - ovviamente - le varianti botaniche Margherita e Ulivo. Insomma, conti alla mano, 8 simboli rottamati in 13 anni, per arrivare al tricolore. Una scelta «originale»? «Cerrrto», direbbero forse a Striscia la notizia.

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