Roma«Fra poco celebrerò cinquantanni dal mio debutto con i Wiener Philharmoniker, con i quali farò anche due tournée», esordisce così Lorin Maazel, di ritorno da Valencia, ospite a Roma dellAccademia di Santa Cecilia, dove dirige (fino a martedì 21) Roméo et Giuliette, opera che definisce «la più geniale di Berlioz» e alla quale Maazel è molto legato, perché è la prima opera che incise 25 anni fa. Maazel sembra in vena di confessioni, come quando gli si chiede se ha fatto pace con i Wiener, dopo la rottura traumatica molti anni fa.
«Con i Wiener non ci sono mai stati problemi, anche durante i miei anni viennesi, a capo della Staatsoper. I problemi sorsero con lallora ministro della Cultura, quando voleva impormi di far cantare in teatro sua moglie, una chanteuse di cabaret e io rifiutai perché non aveva voce. Nonostante si trattasse di una faccenda personale, che non aveva a che fare con il mio incarico, decisi di andarmene».
Tra breve termina il suo incarico alla New York Philharmonic e a Valencia. Visto che ama lItalia perché non accetta di dirigere allOpera?
«A volte penso sia giunto il momento di chiudere bottega e starmene tranquillo a scrivere musica. Il mio è un lavoro massacrante. Continuerò a lavorare ma senza incarichi stabili, a meno che il mio gusto per le sfide non mi faccia impegnare stabilmente in qualche posto. Con il teatro il discorso è chiuso. Non resisto nello stesso posto per due mesi consecutivi, e con tanti registi non mi trovo bene».
Anche lei si scaglia contro i registi di oggi?
«Purtroppo sì, e per colpa loro. Specie di quelli che dichiarano di odiare lopera e poi fanno regie dopera. Un regista, piuttosto conosciuto, così mi ha sintetizzato la sua idea di Traviata: nell'opera di Verdi ci sono due temi, sesso e soldi. Allora vuol dire che non ha capito nulla della introspezione verdiana sul personaggio principale deciso a superare la banalità della vita parigina. Ogni nota di quella musica è carica di interiorità. Ho limpressione che molti registi, fra quelli che lavorano per lopera, siano squilibrati, e che si prefiggano di portare in palcoscenico i loro problemi personali. Si tratta di esibizionismo di cattivo gusto. Qualche altra volta sembrano voler fra concorrenza ai grandi musicisti e così facendo rovinano tanti capolavori. Se oggi si fanno spesso opere in forma di concerto - cioè senza rappresentazione - vorrà dire qualcosa?».
Povero regista, perché allora non ci si prova lei nella regia?
«Non ho tempo. Ma una volta lho fatto, proprio a Roma, molti anni fa, con lEugenio Onieghin di Ciaikovskij».
La tecnologia può venire in aiuto in questo campo?
«Senza esagerare, perché a furia di rinnovare si rischia di perdere i valori profondi. I miei figli mi dicono: papà sei vecchio, e mi trascinano davanti al computer. Ho visto la YouTube Symphony Orchestra. Ma vi sembra un modo di ripensare la musica? Ma ve limmaginate unorchestra sparpagliata nel mondo che suona agli ordini di uno sbacchettatore che si affaccia sullo schermo? Per carità».
Quali effetti la crisi sta producendo sul mondo musicale?
«Se si studiano le varie crisi si scopre che cè un settore in auge in tali periodi, quello dellentertainment, al quale appartiene anche la musica classica, che è fragilissima e delicata e perciò da maneggiarsi con cura. Se la musica è fatta male, è la musica a soffrine per prima. Nel settore privato dellentertainment non cè crisi. Alla New York Philharmonic abbiamo gli stessi sponsor degli anni scorsi. Insomma gli artisti di valore non conoscono crisi. Le cose vanno diversamente nel settore che dipende da soldi pubblici; i soldi non arrivano più e la musica è la prima a soffrirne, non parliamo poi della musica contemporanea».
Per finire dà qualche notizia della sua orchestra italiana (Symphonia Toscanini), della quale non si sente più parlare. «È sempre in piedi. Farò con loro concerti questestate, e il prossimo 11 settembre, a Roma, dirigerò il Memorial Concert per le vittime del terrorismo».
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