«Ma non tutti possono considerarsi liberali»

Ricossa: «I politici leggendo Hayek eviterebbero tante insulsaggini sul liberalismo»

Vi sono due Hayek: l’economista e il filosofo. Nel suo caso, l’economista servì di base al filosofo. È il percorso inverso di quello di Adam Smith, che prima fu filosofo e poi economista. Eppure entrambi cercarono di rispondere alla medesima domanda: qual è l’essenza del liberalismo. E la risposta di Hayek non è altro che un approfondimento della risposta di Smith. Si può dire fin da ora che il liberalismo è una dottrina complessa: ha richiesto due secoli di approfondimento. E i due secoli non bastano, perché Hayek non ha concluso l’opera; la quale mai si concluderà. Mancando di dogmi, il liberalismo è una dottrina aperta, che si arricchisce di continuo col passar del tempo. Tuttavia, ciò non autorizza chiunque a definirsi liberale, e tanto meno liberale al modo di Smith e di Hayek. C’è chi, per ignoranza, si crede liberale e non lo è. C’è chi, per interesse, si professa liberale e non lo è. C’è chi lo è, ma non al modo di Smith e di Hayek. Per esserlo a questo modo, serve una certa conoscenza dell’economia: non è fortuito che Smith e Hayek fossero anche economisti. Benedetto Croce, per esempio, a mio parere non fu abbastanza economista da potersi inserire a pieno titolo nella tradizione liberale, che congiunge Hayek a Smith. Le discussioni di Croce con gli economisti Vilfredo Pareto e Luigi Einaudi dimostrano che al filosofo napoletano sfuggirono sempre alcuni lati della questione, i quali invece erano ben presenti ai suoi due interlocutori.
Per contro, essere economisti e amare genericamente la libertà non è sufficiente (e nemmeno necessario) per entrare in consonanza con Smith e Hayek. Il famoso economista liberale J.M. Keynes professò un liberalismo diverso e occasionalmente perfino opposto a quello della coppia Smith-Hayek. Nessuna meraviglia: il liberalismo è una concezione della vita, e dunque non può che essere una faccenda molto personale. Basta poco, una minuscola differenza iniziale nel concepire la libertà, e si giunge a conclusioni politiche con ampia divergenza. Il liberale Keynes si tramuta nel socialista Keynes. Mi viene in mente la definizione di «fenomeno caotico», ossia fenomeno suscettibile di effetti imprevedibilmente divaricati, a seguito di quasi impercettibili cambiamenti nelle cause. In Italia, poi, per «vedere» il liberalismo alla Smith-Hayek ci si deve sbarazzare di una moltitudine di equivoci appartenenti alla nostra cultura nazionale. Sempre per esempio, è indubbio che il liberalismo alla Smith-Hayek affondi radici nell’Illuminismo. Bene, nella nostra cultura italiana l’Illuminismo è di casa. Ma ahinoi, è di casa l’Illuminismo francese, che la Francia esportò ovunque. Non è di casa l’Illuminismo scozzese, quello di Hume e Smith, per intenderci. Hume e Smith conobbero l’Illuminismo francese, e se ne allontanarono: altre luci, altre ombre. Un personaggio come Helvétius o come Rousseau è l’antitesi di Hume e di Smith; tanto è vero che il pacifico Hume non riesce nemmeno a restare amico dell’irritabile Rousseau. Sono tentato di commentare: questione di pelle. C’è di peggio: nella cultura italiana si è fatta strada un’immagine completamente deformata di Smith. Presso gli ignoranti, ma inoltre presso larghe cerchie di intellettuali nostrani, Smith è diventato il campione dell’egoismo, il nemico della solidarietà \ L'allevatore di pecore in Australia non ha la minima idea dei consumatori che indosseranno in Italia abiti fatti con la sua lana. L’allevatore non lavora per farci un piacere, ma per guadagnarsi da vivere. Perché chiamarlo egoista? Forse sarebbe preferibile che andassimo noi in Australia a produrre la lana che ci serve per gli abiti? L’australiano lavora per noi. Sa che se la sua lana non ci soddisfa in qualità e prezzo noi non la compreremo. L’egoismo non c’entra \ I mercati operano per soddisfare interessi, ma interessi reciproci. Così è, almeno, nei mercati di libera e leale concorrenza. La concorrenza non è la lotta di tutti contro tutti. È un processo di identificazione dei più «sociali», dei più capaci di soddisfare gli interessi reciproci. Nei mercati di concorrenza non si prende qualcosa senza dare qualcos’altro in cambio. Dunque, l’egoismo non può essere il motore dei mercati. Vi è sempre equivalenza monetaria tra il prendere e il dare. Certo, si può discutere se il prezzo è «giusto», qualunque sia il significato di «giusto» (Smith e Hayek ne discutono). Ma questo è un altro discorso. Smith non crede che l’egoismo sia il fondamento dell’azione umana. Al contrario, il filosofo scozzese, l’autore della Teoria dei sentimenti morali, identifica tale fondamento nella simpatia \.
Il grossolano errore di identificare Smith con uno che predica la società egoistica, anziché la società solidale, ha nuociuto a lui e ai suoi seguaci e continuatori, Hayek compreso. È lecito sospettare che Smith e gli smithiani siano stati giudicati, dai loro avversari, senza una attenta lettura delle opere. Nel caso specifico di Hayek esiste un ulteriore motivo di incomprensione. Le sue prime opere, di natura strettamente economica, sono in contrasto con il pensiero di Keynes. E poiché la fama di Keynes si trasformò, durante un lungo periodo di tempo e soprattutto in Italia, in una sorta di idolatria, da parte delle nuove leve di economisti, il risultato fu una sopravvalutazione di Keynes e una sottovalutazione di Hayek. A poco servì che Hayek ricevesse nel 1974 il premio Nobel per l’economia. L’opinione comune in Italia seguitò a giudicare Hayek un sorpassato, nel campo dell’economia teorica, e Keynes un geniale innovatore. La sottovalutazione delle teorie economiche di Hayek portò similmente alla sottovalutazione delle sue teorie filosofiche. I grandi editori italiani si attennero ai consigli della nostra intellighenzia (sinistreggiante), per cui le traduzioni di Hayek furono tutte più o meno tardive, se non inesistenti. Si ricordi che l’Italia, per oltre un decennio, dal 1967 al 1980 circa, visse una situazione politica pre-rivoluzionaria \ Certo non furono tempi adatti alla meditazione di Hayek. Il suo sottile pensiero fu sommerso da una alluvione di scritti altrui barbaramente ideologici.
La traduzione italiana di Verso la schiavitù esce nel 1948 con quattro anni di ritardo. Quella dell’Abuso della ragione esce nel 1967 con quindici anni di ritardo. Quella della Società libera esce nel 1969 con nove anni di ritardo. Ma questo è il meno: La società libera passa direttamente dalla tipografia al macero. L’edizione del 1969 è oggi una rarità bibliografica \ Ignorare Hayek è ignorare l’essenza del liberalismo classico. Se i nostri uomini politici trovassero il tempo di leggere di Hayek almeno La società libera, eviterebbero di dire tante insulsaggini sul liberalismo. E questo vale per i laici e per i non laici, per i politici di sinistra e non di sinistra.
Giuristi e magistrati: ecco altri lettori auspicabili de La Società libera.

Si sa quanta turbolenza vi sia nell’Italia attuale intorno ai concetti di diritto e di giustizia. Ebbene, Hayek ha molto da insegnare in tali campi. Egli prende di petto il positivismo giuridico di Kelsen, e ne indica i pericoli per la libertà.

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