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Non vuole avversari alla carica di governatore Fa rapire e massacrare almeno 45 persone

Manila Sono ben 45 i cadaveri decapitati ritrovati nelle Filippine meridionali, dopo un sequestro collettivo seguito da una efferata strage. Almeno dieci erano giornalisti, parecchi potrebbero essere politici locali.
Responsabile del massacro un gruppo di uomini armati che ha preso di mira la campagna elettorale di un candidato a governatore della provincia di Maguindanao: si tratta del vicesindaco della città di Buluan, Ibrahim Mangudadatu. A bordo degli automezzi c’erano i reporter, la famiglia, i sostenitori del candidato.
Maguindanao, sull’isola di Mindanao a maggioranza musulmana, è una delle province politicamente più turbolente delle Filippine, teatro di frequenti scontri armati e sequestri condotti dalla guerriglia separatista islamica.
Ieri mattina un centinaio di uomini armati hanno fatto irruzione in un ufficio della Commissione elettorale della provincia e hanno costretto con le armi diverse decine di persone a salire su camioncini, che si sono poi diretti verso una zona montagnosa. Secondo un portavoce dell’esercito, poco dopo, e prima che le forze armate giungessero sul luogo, almeno 21 dei sequestrati sono stati decapitati. I cadaveri, 13 donne e 8 uomini, sono stati ritrovati crivellati di proiettili. Altri corpi sono stati trovati successivamente, mentre le ricerche continuano in un clima di orrore. «Crediamo che ci siano altri corpi sepolti» ha detto il tenente colonnello Romeo Brawner. Secondo il Sindacato nazionale dei giornalisti, almeno dieci delle vittime della strage di Mindanao erano giornalisti.
Il sequestro collettivo e la strage sono da collegare a una disputa politica fra candidati locali. La moglie di Mangudadatu stava per presentare all’Ufficio elettorale la candidatura del marito. A causa della violenza politica che colpisce il sud delle Filippine, numerosi dei candidati si muovono circondati dalle loro milizie private.


Non mancano le indiscrezioni sui presunti mandanti della carneficina. Gli uomini armati, secondo il sito web del quotidiano El País, erano mercenari al soldo del governatore Andal Ampatuan, noto come El Padrino: uno dei suoi figli sarebbe stato alla guida dell’operazione.

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