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Nonostante la Vespa al posto delle carrozze funziona la "Traviata" di Mariani a Caracalla

Si prosegue con la moda di alterare epoca e luoghi dei capolavori del passato

Nonostante la Vespa al posto delle carrozze funziona la "Traviata" di Mariani a Caracalla

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Nonostante la Vespa al posto delle carrozze funziona la "Traviata" di Mariani a Caracalla

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Tempi duri, per i tradizionalisti dell'opera. Assistere ad un allestimento che rispetti la natura originale di un melodramma è diventato, ormai, una vera impresa. Tanto più se le regie che cambiano l'epoca o l'ambientazione di un capolavoro riscuotono l'approvazione del pubblico. È il caso della Traviata che, con la regia di Lorenzo Mariani, si dà fino al 9 agosto alle Terme di Caracalla in Roma. Spettacolo di successo (alla prima di venerdì non si trovava un posto libero, fra i quattromila disponibili) che trasforma la Parigi del demi-monde originale nella Roma di Fellini e della Dolce vita, mentre la mantenuta protagonista diventa una diva del cinema fine anni 50.

Perché? Mariani afferma di aver voluto attualizzare il dramma di Violetta in un contesto «ricco di glamour ma spietato, fastoso ma senza speranza». Così inquadra tutta la vicenda dentro uno schermo stile Cinemascope, attorno al quale volteggiano i classici paparazzi che inseguono con i loro flash la protagonista, dal celebre Preludio fino al tragico finale. Il ricevimento a casa di Violetta diventa un red carpet lungo Via Veneto, con l'attrice che riceve un premio, firma autografi e intona il popolare «brindisi» al microfono, come fosse una hit da musical. La casetta di campagna in cui fuggirà con Alfredo si trasforma in una villa al mare, con ombrelloni e lettini sullo sfondo di immagini proiettate delle onde, calme all'inizio e via via più mosse, mano a mano che le emozioni in scena si drammatizzano. Quando infine il sogno di Violetta si rivelerà un'illusione, come i film in cui recitava, lo schermo si spezzerà e la diva morrà sotto l'implacabile crepitìo dei flash. Giustificata o meno che sia, e a parte le inevitabili incongruenze fra parole e azioni, riguardo le quali ormai registi e pubblico semplicemente sorvolano (si nomina Parigi anche se siamo a Roma; si citano carrozze e in scena appaiono Vespe) la trovata di Mariani coglie in gran parte nel segno. Non perché il pubblico afferri la contestualizzazione «spietata e senza speranza»; ma semplicemente perché lo spettacolo appare gradevole all'occhio, servito com'è dagli sgargianti costumi di Silvia Aymonino, e solletica la mitologia delle «roman holidays» ancora cara ai turisti che gremiscono la platea. Peccato solo che, alla lunga, il gioco s'impasticci con citazioni senza motivo, da Moulin Rouge a Titanic, e scivoli nel bric-a brac di dubbio gusto quando la festa in casa di Flora viene trasferita in un dancing dove i tradizionali «zingarelle» e «matadores» diventano «teddy boys» e spogliarelliste impellicciate.

Se è funzionale a livello scenico, lo spettacolo convince meno sul versante musicale. L'unico completamente a suo agio appare il tenore Giovanni Sala: un bel timbro e una bella disinvoltura recitativa. La Violetta di Francesca Dotto parte con qualche incertezza e si mostra più efficace soprattutto sul versante drammatico: toccante il suo Addio del passato. La direzione di Paolo Arrivabeni è corretta. Senza particolare rilievo il papà Germont di Christopher Maltman.

Alla fine applausi per tutti: la Traviata in stile Dolce Vita è piaciuta.

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