Nord Corea, accordo per sanzioni «morbide»

E sul test nucleare di lunedì scorso restano i dubbi

Arrivano le sanzioni e la Corea del Nord, dopo aver minacciato di scatenare una guerra nucleare, si ricrede e torna al tavolo dei negoziati. O almeno così pare. Quella di ieri sembrava una giornata di transizione e invece ha riservato molte novità sull’asse New York-Pyongyang, protagonisti la Cina da una parte, la Russia dall’altra.
Cominciamo dal Palazzo di Vetro. Ieri pomeriggio le trattative sulla nuova Risoluzione si sono improvvisamente sbloccate. Washington e Tokio premevano per ritorsioni dure, Pechino e Seul invece chiedevano misure morbide e graduali. Hanno prevalso i cinesi, seppur ricorrendo a un’acrobazia semantica che consente a tutti di salvare la faccia. Il testo, che verrà approvato oggi dal Consiglio di sicurezza, chiede alla Corea del Nord di abbandonare qualsiasi ambizione nucleare militare e menziona l’ipotesi dell’uso della forza, escludendola però di fatto. Il progetto cita infatti il Capitolo VII della Carta Onu, che prevede misure militari, ma si riferisce a un articolo che prevede solo sanzioni economiche e commerciali. Inoltre non parla più di un embargo totale sulle armi, ma proibisce la vendita a Pyongyang di missili, di carri armati, di navi da guerra e di aerei da combattimento, oltre che di materiale tecnologico nucleare e missilistico.
Un compromesso che Washington ritiene più che accettabile e che comunque consente di inviare un messaggio forte a Kim Jong Il, che, non casualmente, mentre a New York si definivano gli ultimi dettagli della risoluzione, ha innestato la retromarcia. Merito della diplomazia russa. A sorpresa Putin ha inviato nella capitale nordcoreana il viceministro degli Esteri Aleksander Alekseiev, il quale dopo un lungo colloquio con l’omologo Kim Hehuan ha annunciato che Pyongyang «conferma la sua fedeltà ai negoziati a sei come mezzo per risolvere il problema nucleare nella penisola coreana», ovvero s’impegna a riprendere le trattative internazionali che aveva abbandonato nel novembre del 2005 per protesta contro le sanzioni decise da Washington nei confronti di alcune società del regime. Alekseiev assicura che «anche in futuro Kim Jong Il intende risolvere tutti i problemi attraverso il dialogo».
Ma sarà davvero così? Altre volte, in passato, il regime ha cambiato repentinamente atteggiamento, passando dalla distensione all’intransigenza e viceversa ed è possibile che lo stesso accada ora, soprattutto quando le trattative, ammesso che ripartano davvero, affronteranno la questione delle ispezioni dell’Agenzia atomica internazionale, che Pyongyang da sempre rifiuta.
Dopo una settimana ad alta tensione, i propositi dell’ultimo regime asiatico autenticamente stalinista vengono comunque accolti con sollievo dagli esperti internazionali, che peraltro continuano a nutrire dubbi sul test atomico sotterraneo condotto lunedì scorso. Sin dall’inizio l’intelligence americana aveva ritenuto anomala la potenza dell’esplosione, valutata a mezzo kiloton, di gran lunga inferiore a quelle di test analoghi o alla potenza degli ordigni sganciati dagli Usa su Hiroshima o Nagasaki.
Non si esclude che si sia trattato di un bluff, ovvero che Kim Jong Il abbia fatto deflagrare un ordigno convenzionale anziché nucleare.

Il Pentagono ha fatto sapere che i campioni atmosferici raccolti da un aereo speciale da ricognizione inviato sulla Corea del Nord nella zona dove è avvenuto l’esperimento, non ha rilevato tracce di radiazioni. Per la Cia è un mistero, che potrebbe anche non essere mai chiarito.

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