Il Nord è stufo del «traditore»: così la Lega punta al sorpasso

DIFFICOLTÀ Da Milano al Veneto, La Russa costretto a intervenire sul territorio per calmare la base in rivolta

Il primo a cogliere i segnali del cambio di rotta fu Umberto Bossi. Da sempre assiduo frequentatore della base leghista, infatti, già alcuni anni fa il Senatùr iniziò a imbattersi in più di un deluso di An pronto ad accasarsi sotto il Sole delle Alpi. Il segno evidente che la sterzata di Gianfranco Fini - in particolare sul tema dell’immigrazione - non veniva compresa né tantomeno condivisa da tanti elettori, soprattutto da quelli di fede missina. Bossi, che in quanto a fiuto politico è sempre stato un maestro, colse la palla al balzo, tanto che durante una riunione in via Bellerio invitò i dirigenti della Lega a fare «campagna acquisti» in casa An dove i delusi erano tanti.
Primi segnali, che con il passare degli anni hanno trovato più d’una conferma perché oggi la Lega ha ingrassato il suo pacchetto di voti e il trasloco di molti elettori di An prima e del Pdl poi è un problema che preoccupa seriamente i vertici di via dell’Umiltà. Ignazio La Russa lo sa bene e anche per questo rilancia la competizione con il Carroccio promettendo di fare campagna elettorale in Veneto dove è sicuro che il Pdl prenderà più voti della Lega. Vedremo. Di certo, al Nord il malcontento nei confronti del presidente della Camera è di molto aumentato negli ultimi mesi. Tanto che chi fa politica sul territorio non passa giorno senza imbattersi nell’ormai rituale rimostranza: «Fini non lo capisco più». Si passa dai «semplicemente perplessi» a quelli che Giorgio Stracquadanio definisce «decisamente incazzati». Pochini, invece, quelli che si dicono d’accordo con l’ex leader di An.
Che sia in città, in provincia o nelle valli, insomma, al Nord gli elettori del Pdl guardano a Fini con una buona dose di perplessità. Colpa del Giornale, dicono i finiani. Convinti che lo scetticismo di così tante persone sia dovuto a qualche titolo di giornale. E facendo finta di non sapere quello che invece ripetono come un mantra molti sostenitori del centrodestra: «Prima Mussolini e la Resistenza, poi Israele e l’immigrazione e in ultimo le questioni etiche. Al di là di condividere o no le sue prese di posizione, non si può stravolgere l’anima di un partito in così pochi anni». Il punto, insomma, è che un’evoluzione politica tanto profonda richiede comunque tempo. Altrimenti, spiega uno come Osvaldo Napoli che in Piemonte fa ancora la politica del porta a porta, «non è credibile». E su questo fronte, almeno nel Nord, il vero spartiacque non è certo stato il Giornale quanto piuttosto le posizioni più volte ribadite sull’immigrazione (cittadinanza e voto amministrativo). È questo, a torto o a ragione, il messaggio che davvero l’elettore di centrodestra non ha capito, soprattutto in regioni dove la questione immigrazione-sicurezza è tanto sentita da essere diventata il core business di un partito dal 10% di voti come la Lega. E sono queste le obiezioni che fanno gli elettori ai parlamentari che incontrano sul territorio. Ragionamenti, non a caso, che La Russa ha ripetuto a Fini durante il pranzo per gli auguri di Natale a Montecitorio. Perché, diceva il triumviro del Pdl, «è un problema che va risolto». Lo sa bene il ministro della Difesa, che a Milano è costretto a fare l’equilibrista per difendere le posizioni di Fini e allo stesso tempo arginare l’emorragia verso il Carroccio. Ma forse se ne sta rendendo conto anche il presidente della Camera, visto che pure i cosiddetti finiani si trovano ad imbattersi nelle stesse obiezioni e lamentele.
D’altra parte, dopo «la goccia che ha fatto traboccare il vaso» - così la definisce Stracquadanio - la situazione è decisamente peggiorata. Perché l’impatto del fuori onda tra Fini e il procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi è stato a dir poco devastante. Nelle case di milioni di italiani, infatti, è entrato un Fini che ironizzava confidenzialmente con un magistrato su Berlusconi e sulle sue vicende giudiziarie. Per uno che vota centrodestra, inutile dirlo, non certo una visione rassicurante. Tanto che dopo l’incidente a microfoni accesi ha iniziato a prendere piede un’altra domanda: «Non è che finisce che Fini farà cadere il governo?». La risposta è chiaramente di no, perché per quanto il presidente della Camera abbia deciso di costruirsi un profilo diverso dal passato non ha interesse alcuno a una crisi di governo.

Anche perché il suo è un percorso che ha bisogno di tempo e non certo dell’ombra delle elezioni anticipate. Ma il fatto che così tanti elettori di centrodestra - al Nord in particolare - arrivino a mettere in dubbio la sua lealtà rischia però di essere un problema anche per il futuro.

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