«La nostra commissione etica? È in vacanza»

Il senatore della Quercia aveva mobilitato il partito contro gli sprechi nelle Regioni. Nessun risultato

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

Due mesi dopo aver presentato al Consiglio nazionale Ds l’ordine del giorno che denunciava gli sprechi nelle nuove giunte regionali, Cesare Salvi non ha fatto marcia indietro. Legge, ritaglia, archivia. E si prepara a tornare alla carica. Anche nel suo partito: «Sto lavorando a raccogliere informazioni, denunce, dati e riflessioni che presto renderò note e sfoceranno in iniziative politiche e legislative».
Ma il suo impegno è solitario. Eppure dopo quell’ordine del giorno i Ds avevano fatto di più, nominando un’apposita commissione presieduta dal senatore Nicola Latorre, molto vicino a Massimo D’Alema. Un organo speciale per studiare il problema e individuare le soluzioni. Risultati? Per ora nessuno. «Si attendono ancora notizie da questa commissione», sospira Salvi. Possibile che in due mesi non abbia prodotto nulla? «Mah, saranno andati in vacanza», aggiunge con un filo di sarcasmo.
Del resto, nonostante il voto unanime del Consiglio nazionale, l’iniziativa di Salvi suscitò polemiche nel partito. Il presidente campano Antonio Bassolino se ne andò infuriato: «Cose da pazzi», sbottò. Altri contestarono per lo meno l’opportunità dell’iniziativa.
«Non ho alzato un polverone», replicava Salvi. Ora, le rivelazioni sulle pressioni del deputato campano dei Ds Giuseppe Petrella su un dirigente sanitario per pilotare un incarico professionale sembrano dargli ragione. Per il vicepresidente, si tratta di un altro capitolo da aggiungere al dossier che sta preparando sulla degenerazione della politica. «Ma ci vorrebbe un libro perché sono troppi», scherza.
Sulla vicenda napoletana, Salvi premette che «non voglio entrare nel merito, anche perché le intercettazioni telefoniche sono sempre da maneggiare con cura». Precisa poi che «la questione riguarda tutti, non solo l’Unione, basta guardare alla recente nomina di due primari all’Ospedale Niguarda di Milano. La scelta è caduta su due militanti di Cl, organizzazione non lontana dal governatore Formigoni».
Infine esprime il suo sconcerto: «Il problema del rapporto tra sanità e politica è molto serio. Qui poi mi pare che si chiedesse un posto non per uno del proprio partito, ma per uno dei Verdi, per tenere unita la coalizione. Ma scherziamo? Si può affidare un posto di responsabilità in un ospedale pubblico con la motivazione che serve a tenere unita la coalizione? Io mi sono occupato degli stipendi ai politici, della moltiplicazione di commissioni e assessorati, ma qui la lottizzazione arriva a un livello ancora più profondo, e purtroppo la sanità non è l’unico settore».
Salvi si sfoga: «Non si può andare avanti così. Il malcostume va affrontato alla radice. Bisogna cambiare le regole e il ministro della Salute Storace, che conosce il problema perché ha guidato una Regione, dovrebbe farlo. Ma anche i Ds devono muoversi per spezzare questa catena che lega la sanità alla politica».
Poi spiega: «Ora i governi regionali nominano i manager, i quali scelgono i primari su liste di idoneità. Ma in Italia sappiamo benissimo che un’idoneità non si nega a nessuno, che la carne è debole e che i medici portano voti, quindi meglio nominare un amico degli amici... ma scherziamo?».
Salvi ha scarsa fiducia nella redenzione dei politici, e affida le sue speranze a regole più efficaci, «che evitino di indurre in tentazione, perché così non si può andare avanti. E le Regioni possono già intervenire, secondo l’interpretazione che numerosi giuristi danno dell’articolo 117 della Costituzione, perché la materia è di loro competenza».
Già, ma come cambiare le regole? «Io penso che i direttori generali delle Aziende sanitarie debbano restare alle giunte, quindi di natura politica, ma con criteri di selezione più rigorosi.

Per gli altri posti non si può continuare con la scelta discrezionale nelle liste di idoneità: bisogna fare i concorsi con commissioni di esperti e procedure pubbliche, in modo che chi non si sente tutelato possa ricorrere al Tar».

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