La nostra voglia d’avventura ai piedi di un letto caldo sognando di fare la storia

Il fascino degli uomini coraggiosi non può finire: così si cambia il mondo

Poeti, santi, navigatori. E chiocce. Il popolo italiano con il passare degli anni ha perso molto della sua connotazione romantica e ha rafforzato invece una caratteristica altrettanto conosciuta sebbene meno affascinante: quella di madri ansiose. Quelle in fissa con la maglia di lana, l'orario di rientro e il «vai piano» anche quando si prende l'aereo. La storia dei tre alpinisti Walter Nones, Simon Kehrer e dello sfortunato Karl Unterkircher, bloccati sulla parete Rakhiot del Nanga Parbat, sull'Himalaya, ne è un esempio lampante. Una vicenda che desta preoccupazione, certo, una tragedia che ormai si è in parte consumata, eppure... Mentre il resto del Paese veniva travolto dall'isterismo di massa, complice l'ansia instillata dai media che amplificavano la vicenda come se si trattasse di un reality-show, i famigliari, gli amici e gli scalatori stessi affrontavano l'emergenza e le sue tragiche conseguenza con pacatezza, quasi con serenità. Sono scelte di vita, nessuna ha puntato una pistola alla tempia di quei tre uomini perché scalassero una delle montagne più alte del mondo, e nessuna delle persone a loro vicine è stata raggiunta a tradimento dalla loro decisione. Ciò che per i più è inconcepibile e insensato (fare una cosa potenzialmente molto pericolosa solo perché si desidera farla), per una stretta minoranza è invece un fattore irrinunciabile.
Chiamatelo rischio, chiamatelo avventura, ma è lo stesso motore che ha spinto per secoli, se non per millenni, gli uomini a cercare di superare i limiti, propri e altrui. Da Omero a Salgari, da Verne a Stevenson, la ricerca di qualcosa, l'impellenza bruciante di mettersi alla prova, la smania di raggiungere quella sporca ultima meta, ha contagiato la fantasia di tutti noi, fintanto che eravamo bambini. Pochi fortunati hanno saputo vedere che al di là del fiabesco c'era un preciso stile di vita adulto in cui tuffarsi. E non hanno esitato. Sono quei pochi uomini dotati di un elemento che la maggior parte dei loro simili ha perso: l'istinto. Sentono. L'aria, la natura, gli elementi primordiali e il loro canto da sirene. Sanno che è pericoloso eppure scelgono di seguirlo, per nulla diversi da un branco animale ben organizzato. La famosa legge della jungla, tanto deprecabile nella sua accezione più negativa, è la loro mappa per la salvezza. Tutte quelle persone che hanno seguito la vicenda, attaccate allo schermo della tv o di internet, si sono indignate quando i massimi esperti di alpinismo, Messner in testa, e persino la moglie dello sventurato Unterkircher hanno affermato che gli altri due hanno fatto bene a procedere, proseguire abbandonandolo al suo destino, a concentrarsi sulla propria salvezza. Certo, il «pubblico» avrebbe a questo punto richiesto un gesto eroico e suicida che accontentasse una morale romanzesca da fiction televisiva. E invece la legge della jungla, quella vera, ha prevalso. Un branco non si può fermare perché un membro è ferito, ne va dell'integrità di tutti. Lo sapeva Unterkircher e lo sapevano i suoi compagni. Se non fosse stato lui a cadere, avrebbe esortato il compagno superstite a proseguire. E lo stesso avrebbe fatto se avesse potuto decidere per la propria sorte, una volta precipitato in quel crepaccio. Invece, agli occhi dell'Italia delle chiocce, hanno sbagliato tutti, perché certe cose non si fanno. È sbagliato rischiare la vita, è sbagliato cercare di superare i propri limiti, è sbagliato non giocare sul sicuro, su un terreno solido e familiare. È sbagliato proiettare la mente un po' più avanti e illudersi di raggiungere il sogno. Meglio stare seduti e covarlo, il sogno.
Al di là della vicenda e dei suoi risvolti tragici penso a quanto il senso dell'avventura ci appartenesse, un tempo. Di uomini coraggiosi che si sono buttati in imprese pazze non sono pieni solo i libri di fantasia, ma anche quelli di storia. Quando abbiamo smesso persino di fantasticare per aggrapparci alla salda realtà? Troppo presto, comunque. Consiglio di seguire l'esempio di mio padre, compassato uomo di scienza, che nonostante l'età ogni notte fa dannare mia madre ribaltando il letto mentre sogna attacchi di indiani e sfide corpo a corpo con animali feroci.

Quando si risveglia, acquattato ai piedi del letto mentre tende una trappola al nemico, si ricompone con un vago imbarazzo e torna a sdraiarsi come si confà a una persona seria. Ma il suo subconscio avventuroso se la ride.

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