«Il nostro spirito non è cambiato anche senza Stefano D’Orazio»

Neanche a farlo apposta, i Pooh hanno inciso un disco da maestri. Dunque, Stefano D’Orazio li ha lasciati l’anno scorso dopo decenni a braccetto e loro quasi quasi mollavano tutto. Invece ora c’è Dove comincia il sole, un album moderno perché li fa sembrare realmente com’erano nel mezzo della gioventù, attentissimi alle melodie, signori musicisti, capaci come pochi di essere barocchi e popolari, ricercati e viscerali. «Siamo emozionati come negli anni Sessanta» spiegano loro. Per non farsi mancare nulla, hanno inciso gli undici brani con uno dei batteristi migliori del mondo, Steve Ferrone, uno che, appena possono, Eric Clapton o gli Aerosmith o Pat Metheny lo chiamano in studio di registrazione (e lui ci va solo se ne ha voglia).
In effetti molti sono rimasti sorpresi: la band simbolo del pop rock italiano con uno dei batteristi più richiesti.
«È nato tutto in fretta. Red Canzian gli ha mandato una email per chiedergli di collaborare. Lui ha risposto in un’ora: ok, vi conosco e accetto».
Fosse sempre così facile.
«Poi ci ha spiegato che ci eravamo incontrati tanti anni fa, tra il 1969 e il 1971, quando noi suonavamo al Titan di Roma e lui accompagnava il grande Brian Auger».
Che coincidenza.
«Le cose sono quasi sempre imprevedibili. L’anno scorso non pensavamo neanche di andare avanti senza Stefano. Invece eccoci qui».
Che cos’è successo?
«Abbiamo provato, ci siamo messi a comporre canzoni. Poi ci siamo detti: “Oh cazzo, ma questa è grande musica”. E abbiamo ritrovato un’energia inattesa. E se non fossimo sicuri di ciò che facciamo non avremmo aperto l’album con un brano lungo quasi dodici minuti, Dove comincia il sole».
Sì ma la versione radiofonica è molto più breve.
«Però la novità è che molte radio trasmettono quella integrale. Probabilmente non è mai successo nella storia del pop italiano».
I testi (firmati anche da Valerio Negrini) sono più complessi del solito. E c’è pure un brano, Reporter, dedicato ai giornalisti. Oggi non è una dedica che va di moda.
«Abbiamo pensato a Ilaria Alpi o a Oriana Fallaci, ai giornalisti che hanno vissuto e sono morti facendo il loro lavoro con tutta la passione del mondo».
Però, cari Pooh, adesso qualcuno vi accuserà di essere tornati a una sorta di pop rock progressive anni Settanta.
«Per andare avanti, spesso bisogna sapersi guardare indietro».
Insomma, nostalgici.
«Tutt’altro. Rispettosi della nostra storia».
A proposito, Stefano D’Orazio ha sentito il nuovo disco?
«Fino all’altro giorno no. Ma lo ascolterà e ci piacerà molto sapere cosa ne pensa».
Magari vi verrà a vedere dal vivo (prima data 23 novembre a Rimini, Forum di Milano il 30).
«Allora ci troverà un po’ “cresciuti”. Oltre a Steve Ferrone, ci saranno anche Danilo Ballo alla tastiera e Ludovico Vagnone alla chitarra. Saremo in sei. Ma con l’emozione di un solo debuttante».
Il vostro primo 45 giri è del 1966.

Allora i Pooh avrebbero provato a partecipare a X Factor o ad Amici?
«A quel tempo per gruppi come i Pooh c’erano centinaia di porte da aprire e i talent show sarebbero stati soltanto una di quelle. Oggi i musicisti si chiedono: come faccio a farmi conoscere? E forse i talent show sono la possibilità più significativa a disposizione».

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