Notte d’ordinaria follia nello Sgarbistan

nostro inviato a Salemi (Trapani)
Venerdì sera, anzi notte, verso le quattro e trenta, è arrivato al cancello dell’hotel Villa Mokarta, a Salemi, con autista, scorta e corte. Dalla macchina ha telefonato al proprietario, che dormiva, e, senza aver prenotato, ha detto: «Sono Vittorio, apri». Entrando ha visto le arance sull’albero del giardino della villa, si è fatto fare una spremuta ed è andato in camera a dormire. «Arrivava dall’altra parte dell’isola, non so da dove. Se ne è andato il mattino dopo, andava all’aeroporto, non so per dove», hanno detto quelli dell’hotel.
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Vittorio Sgarbi, l’uomo che volle farsi Re dello Sgarbistan, non si sa mai dove va, né da dove viene. È affetto da dromomania, una tendenza nevrotica-ossessiva a muoversi senza una meta precisa, sempre di fretta, senza fermarsi. Lo Sgarbistan è un regno senza confini, o meglio, i cui confini mutano ogni giorno, la cui capitale cambia continuamente e coincide, di volta in volta, con il luogo dove si trova Sgarbi in quel momento. Roma, Ferrara, Parigi, Padova, Busto Arsizio, Aosta, Salemi. Re senza regno, è però un Principe che gode di una corte affollata, compiacente e bizzarra: artisti o sedicenti tali, uomini e donne di pubbliche relazioni, poeti, registe, assistenti, assistiti, amici o supposti tali, belle ragazze, ragazzi adoranti, questuanti. Tanti. Per un giorno anche noi che scriviamo.
«Dài, vieni a Salemi a vedere la mostra del figlio di Pirandello che inauguro. Diamo anche la cittadinanza onoraria a Giuseppe Tornatore, poi c’è la proiezione di Baarìa al nuovo cinema-teatro che abbiamo appena aperto, poi c’è la moschea che voglio costruire per gli arabi, poi ho un’altra cosa in mente, poi...», mi dice al telefono, senza neppure attendere la risposta. Che, essendo un Re, dà per scontata. E così siamo a Salemi, cortigiani post-moderni di un Principe rinascimentale. Questa è la cronaca di una giornata dalla capitale dello Sgarbistan.
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Quando accadde che arrivò Sgarbi a Salemi, narrano le cronache locali, ebbe accoglienza viva e calorosa, come si dice da queste parti. Vi arrivò nel giugno del 2008, candidato sindaco della piccola città siciliana. E al suo primo apparire fu conosciuto dalla gente di Salemi dentro le chiese. Che, misteriosamente, al suo arrivo si spalancarono tutte assieme, in una sola volta. Poi, l’uomo che volle farsi sindaco fu seguito dai salemiani secondo quella progressiva parabola che va dalla curiosità al moderato entusiasmo attraverso una distaccata diffidenza fino alla rassegnazione ottimista che contraddistingue, da secoli, per ogni cosa, la terra di Sicilia e i siciliani. Un vecchio saggio, fuori dal «Centralbar», nella piazza di Salemi Alta, ci dice: «Ha il coraggio della parola». Non sappiamo bene che cosa significhi, ma, detto in una terra nota per la sua omertà, ci sembra un grande complimento. Del resto, Salemi è forse l’unica città in cui negozi e pasticcerie, tra la pasta di mandorle e la gelatina di zibibbo, espongono il libro L’Italia delle meraviglie del proprio sindaco-scrittore. Salemi è una meraviglia.
La terra di Sicilia e i siciliani, antropologicamente, si dividono tra pescatori e agricoltori. La gente che ha a che fare con il mare e quella che fa i conti con la terra. Più aperti, ottimisti, disposti al rischio i primi. Più chiusi, scettici, restii ai cambiamenti i secondi. La gente di Salemi, una città dell’entroterra aggrappata al suo castello in cima a una collina, immobile anche nelle calamità naturali, appartiene alla seconda categoria. Sgarbi, che neanche è siciliano, decisamente alla prima. Le possibilità che lui e i suoi «sudditi» possano andare d’accordo, sulla carta sarebbero scarse. Eppure.
Eppure da quando si è fatto sindaco, Vittorio Sgarbi - tra viaggi, libri, mostre, battaglie politiche e giornalistiche, dibattiti, interventi pubblici, ospitate televisive... - a poche cose si è dedicato con tanta passione quanto a questo borgo medievale nel cuore del Belice, un castello normanno-svevo, diecimila abitanti, quasi tutti over sessanta, tutti con le stesse facce da siciliano delle comparse del film Baarìa, cioè Bagheria, che dista un’ora e mezzo da qui. Un paese, la Salemi vecchia, dove il terremoto del ’68 sembra successo l’altro ieri.
Le famose case che Sgarbi, con uno dei progetti più folli e ambiziosi della sua amministrazione, ha messo in vendita al prezzo simbolico di un euro, a patto di restaurarle secondo i criteri originari, sono quelle lesionate e così rimaste dal sisma di quarantadue anni fa. Le hanno comprate anche Lucio Dalla, Peter Gabriel, Massimo Moratti. Nel corso del suo mandato, che sta per toccare il secondo anno, in questa provincia siculo-araba dello Sgarbistan ha fatto sfilare intellettuali, attori, politici, vip, imprenditori, artisti, fotografi, giornalisti. Come gli assessori, i direttori di musei, le starlette, gli scrittori, i drammaturghi, i pittori, i critici - e i cronisti come chi scrive - che l’hanno seguito (o meglio, inseguito) l’altro giorno-sera-notte per i vicoli stretti e ciechi di Salemi.
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Uomo che al consiglio gattopardesco «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», ha sempre preferito quello della Regina Rossa ad Alice «devi correre più che puoi per restare nello stesso posto», Vittorio Sgarbi è sempre in movimento, lasciando gli altri fermi ad aspettarlo.
Venerdì l’inaugurazione della mostra dedicata a Fausto Pirandello, straordinario pittore morto nel 1975 e figlio del premio Nobel, era programmata al castello di Salemi alle 18, esattamente l’ora in cui Sgarbi si imbarcava all’aeroporto di Roma. È arrivato a Palermo alle 19,30, e un quarto d’ora dopo a Salemi. Con quasi due ore di ritardo sull’apertura della mostra, ma puntualissimo con se stesso e col fuso orario dello Sgarbistan. Poi - seguito dalla giovane regista Maria Elisabetta Marelli che lo sta filmando da 15 giorni per un film-documentario in stile Andy Warhol per il quale ha già raccolto 150 ore di girato - ha improvvisato nel cortile del castello una conferenza stampa, insieme a Giuseppe Tornatore, su cinema, politica e «sicilianità»; ha tenuto una lectio magistralis sull’arte dei Pirandello, padre drammaturgo e figlio pittore; ha impudentemente corteggiato nelle sale dell’esposizione tale Valentina; ha invitato la sua intera corte a una cena nella casa-palazzo che gli è riservata come sede di rappresentanza del sindaco; mentre gli altri mangiavano, nel suo ufficio ha ufficiosamente presieduto una giunta comunale volante; ha parlato del museo della mafia che vuole aprire a Salemi, e mentre rispondeva al telefono e inviava messaggini ha trascinato tutti al nuovo «Cine-teatro Kim» di Salemi, diventato da pochi mesi sede del gigantesco archivio di video - oltre 55mila film - acquistati dal collezionista Yongman Kim.
E qui, intorno alle 23, con fascia tricolore ha consegnato le chiavi della città, nominandolo cittadino onorario di Salemi, a Giuseppe Tornatore, prima della proiezione del suo magnifico e interminabile Baarìa. Proiezione che è terminata attorno alle 2,30. Ora in cui la capitale dello Sgarbistan si spostava a Palermo, dove qualcuno della corte - la vicesindaco, un assistente personale, due ragazzi della neonata «Fondazione Sgarbi», il suo direttore artistico, l’instancabile filmaker - aveva proposto di andare a mangiare le sarde.


«L’individuo è così. Pieno di energia», mi dice il vecchio proiezionista. Che non sappiamo bene cosa significhi, ma che detto in una terra nota per la sua immobilità, ci sembra in maniera indiscutibile un grande complimento.

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