Nove ore per ricoverare un infartuato

Mancanza di posti letto, assurde burocrazie e ambulanze che non ci sono: ecco l’odissea di un malato che rischia la morte

Mimmo Di Marzio

da Roma

Cari romani meglio non esagerare con il guanciale, le animelle e il fritto misto perché un problema alle coronarie potrebbe costare carissimo, a dispetto delle grancasse elettorali sulla gestione delle emergenze sanitarie e in barba ai progressi della cardiochirurgia. L’ultima disavventura all’ombra del Colosseo è accaduto ad A. M., imprenditore capitolino di 65 anni. Tutto ha inizio la notte fra il 7 e l’8 quando, dopo aver accusato dei dolori al petto, l’uomo si rivolge all’ospedale pubblico più vicino, il Cto A. Alesini. Sono circa le 2.30 della notte e i medici gli diagnosticano una crisi coronarica acuta. La struttura pubblica, però, non è dotata di unità coronarica cosicché, come prevede la prassi, ha inizio la ricerca di un posto letto presso uno dei numerosi ospedali della capitale.
Il tempo è muscolo. Questo è il detto che apprendono gli studenti ai corsi di specialità ed è ciò che si ripetono, quasi a tormentone, i cardiologi durante i congressi internazionali. Le prime tre ore sono quelle «d’oro» cioè determinanti per un infartuato e da come viene trattato in quel lasso temporale dipende il futuro del paziente, quanto sopravvive. A. M. però sperimenterà che il detto può essere una leggenda, quanto meno nel Lazio. Dopo circa mezz’ora il 118 comunica che l’unico posto letto disponibile potrebbe essere all’ospedale di Rieti, che dista un’ora e mezzo dal luogo dove il paziente è ricoverato. Ai familiari che chiedono un ospedale in città il medico di turno allarga le braccia e regala un consiglio sconfortante: «Se avete conoscenze è meglio che le attiviate». A. M., nella disavventura è tra i fortunati perché ha un cognato primario cardiologo all’Aquila, che però è in un’altra regione. Nel frattempo passano le ore e dal 118 la risposta continua a essere picche: nessun posto letto per un infartuato in tutta la capitale.
Il contatto. È ormai quasi l’alba e i familiari chiedono di trasferire il congiunto a L’Aquila che dista poco più che Rieti, ma dove almeno il congiunto sarebbe stato affidato a mani amiche. «Se vuole andarsene firmi pure sotto sua responsabilità» è la risposta dei sanitari. Il paziente viene intanto sottoposto nuovamente a esami che determinano un peggioramento delle condizioni. Mezz’ora dopo il «contatto privato» trova finalmente la soluzione: un posto letto al campus biomedico, un polo universitario al quartiere Prenestino. Il centro è dotato di unità coronarica sotto la direzione del professor Germano Di Sciascio che, di persona, contatta i familiari. Sono intanto già trascorse 5 ore dal primo ricovero. La risposta dei medici del Cto è però raggelante: non può essere autorizzato alcuno spostamento fino a quando la presenza effettiva del posto letto non venga comunicata via fax.
Il giallo del fax. Nell’era di Internet e delle e-mail la vita umana può essere ancora affidata a un vecchio fax? Evidentemente sì. L’autorizzazione è stata prontamente inviata dai medici del campus ma al Cto il pezzo di carta non arriva, cosicché il paziente non può muoversi anche in mancanza dell’assistenza sanitaria necessaria. Miracoli della burocrazia. Sono ormai quasi le 9 e il primario dopo aver più volte inviato il fax, sollecita telefonicamente i colleghi del Cto al trasporto del malcapitato. Dall’altra parte il verdetto non cambia. Spiacenti, la prassi va rispettata. Ora però i toni sono concitati e al paziente, a cui non viene risparmiata l’intera baruffa e che nel frattempo ha un’altra crisi, viene somministrato del Valium. I familiari, sempre più angosciati, chiedono allora di potersi affidare a un’ambulanza privata pur di salvare il congiunto. Ma la risposta è «Ve lo sconsigliamo perché per questo tipo di trasporto occorre un’ambulanza attrezzata e il servizio declina ogni responsabilità». Finalmente compare un infermiere con in mano il fatidico salvacondotto: «Il fax era arrivato, ma in un’altra stanza», nonostante il medico avesse detto che esisteva un unico fax per l’intera struttura. Ora il 118 può essere avvertito e l’ambulanza può partire.

Sono ormai le 11 e mezzo del mattino e ne sono trascorse nove dall’attacco cardiaco, sei in più rispetto a quelle «d’oro» per l’infarto. «Se fossimo intervenuti subito - dice il primario mostrando le copie dei fax - avremmo evitato le ischemie». Il paziente però, grazie anche al cognato primario, è miracolosamente in salvo.

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