NOVECENTO Idee all’italiana

Scriveva George Kuber, nel 1972, in The Shape of Time (La forma del tempo), che egli intendeva «riunire idee e cose sotto la rubrica di forme visive... come idee collegate e sviluppate in sequenza temporale. Da tutte queste cose emerge una forma del tempo e si delinea un ritratto visibile dell’identità collettiva». Da questo presupposto prende l’avvio il progetto di questa mostra al Mart di Rovereto, dove il «modo italiano» non vuol scimmiottare o contrapporsi all’usurato american way, quanto aprire una finestra sulla «forma del tempo» di un intero secolo in Italia. Il «modo» è allora un «atteggiamento di visione» che si vuole porre prima ancora del disegno e del progetto e che trova le proprie radici in quel patrimonio di linguaggi ed espressioni che sono il fondamento dell’artigiano-filosofo.
È un modello che si potrebbe a prima vista definire umanistico, dove il «pensiero» (territorio privilegiato delle artes liberales neoplatoniche) pervade sempre il prodotto del fare, che si tratti delle «arti maggiori» o di quelle definite (a torto) «minori», o artes mechanicae. Una frattura che è solo recente, perché per secoli arti liberali e meccaniche hanno lavorato sullo stesso livello di ricerca. E questo lavoro sinergico è assurto non solo ai livelli più alti nella tecnica ma soprattutto a quel valore espressivo-simbolico, che anticamente si riferiva a canoni religiosi e poi si è allargato al pensiero umanistico e infine alle scienze esatte.
E dunque questo amalgama d’idee e tecniche si ritrova infine in un certo «modo italiano» di affrontare e risolvere le cose, un modo che spesso eccelle nel «fare di necessità virtù» (come affermava Giò Ponti), e che si riversa in un «paesaggio progettuale» vasto e spesso intrecciato alle esperienze delle avanguardie storiche, che a più riprese hanno indicato nuovi modi di esprimere la «forma del proprio tempo».
È tutto qui, riassumendo, il «pensiero» di Giampiero Bosoni e Guy Cogeval, curatori di questa bella mostra appena aperta che viene da lontano, in quanto prodotta dal Montreal Museum of Fine Arts in collaborazione con il Royal Ontario Museum di Toronto e, appunto, con il Mart. I curatori hanno selezionato oltre 300 tra opere d’arte ed oggetti con uno sguardo che non si limita alla pittura, alla scultura e all’architettura, ma spazia alla fotografia, ai mobili, agli oggetti d’arredo, alla ceramica, alla moda.
E la creatività italiana, in questo contesto, si è rivelata capace di anticipare gusti e tendenze che si sono poi espressi al massimo nel design, ma anche nella pittura e nella scultura. E se le cosiddette arti maggiori hanno contribuito all’apertura di credito internazionale verso l’Italia nel XX secolo, con il design, in particolare, il nostro Paese ha raggiunto livelli d’eccellenza che dal secondo dopoguerra in poi lo hanno collocato in una posizione di leadership mondiale. Del resto basta andare al Moma di New York per toccare con mano il peso del design italiano nell’ambito di quella esposizione permanente.
Il percorso espositivo ci guida attraverso una linea temporale che dimostra come processi creativi d’eccellenza sono proceduti di pari passo sia con le arti maggiori sia con quelle minori. E questi processi sono poi confluiti nell’oggetto d’uso comune che ha infine ereditato questo valore aggiunto della sperimentazione artistica, partendo dal Liberty, subito seguito dalle problematiche d’inizio XX secolo, come il Futurismo e la Metafisica, attraverso il Razionalismo ed il suo contraltare del Novecento, in un dibattito serrato che ha poi subito un rinnovamento attraverso la visione critica della società dei consumi proposta dagli esponenti del radical design (Mendini, Pesce) e dell’arte povera (Merz, Kounellis, Pistoletto) a metà degli anni ’70. È seguita poi la risposta alla «crisi della modernità», guidata da Ettore Sottsass jr. e dal gruppo Memphis, nel design, e dalla Transavanguardia, nell’ambito artistico.
Si tratta insomma di un’esplorazione a tutto campo, continua e contigua, che mette fianco a fianco con un Carrà, un Depero, un Balla sia i mobili di Ernesto Basile e Carlo Zen, sia gli incredibili oggetti di Franco Albini e Marcello Piacentini.

E poi Arturo Martini, Sironi e Prampolini e via via Lucio Fontana e Fausto Melotti e Alberto Savinio e i mobili trasognati d’immagini, come quinte teatrali, di Giò Ponti, e poi verso una sequenza di oggettistica high-tech uscita dalle matite di Achille Castiglioni, Marco Zanuso, Enzo Mari, Alessandro Mendini e del metamorfico Bruno Munari, solo per citarne qualcuno.

LA MOSTRA
«Il Modo Italiano. Design e avanguardie artistiche in Italia nel XX secolo». Al Mart di Rovereto, sino al 3 giugno. Catalogo Skira. Numero verde 800 397760.

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