Nude in una bara Per boicottare la lana australiana

Ieri faceva un gran freddo e in tanti si sono chiesti cosa ci facessero, davanti al consolato australiano di via Borgogna, due ragazze praticamente nude (indosso avevano solo un due pezzi nero). Le due - attiviste del Peta (People for ethical treatment of animals) - si sono sdraiate dentro due bare e si sono coperte con tulipani bianchi e rossi. E mentre le guardie dell’ambasciata le guardavano a metà fra l’allibito e il divertito, le due manifestanti (il corpo truccato in modo che sembrassero morte) hanno messo in bella vista uno striscione: «Stop alla mutilazione delle pecore». Dietro di loro alcune immagini di pecore scuoiate. «Il metodo che - dicono gli esponenti del Peta - si usa in Australia per la tosatura, ovvero per ricavare la lana. Una vera tortura».
Torture come il mulesing, che, spiega l’organizzatrice della protesta italiana, Eva Carpinelli, «consiste nello scuoiare gli ovini nella zona perianale con cesoie da giardino senza anestesia per evitare che il vello venga intaccato e sporcato da escrementi, mosche eccetera».


Il destino amaro delle pecore australiane, però, non finisce qui: una volta che non sono più in grado di «produrre» lana di qualità, «stipate su una nave dove, senza cibo né acqua, vengono trasportate in Medioriente per la macellazione». Per questo gli attivisti del Peta («Preferiamo morire piuttosto che indossare lana australiana») invitano tutti a boicottare gli indumenti fatti con la lana di origine australiana.

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