(...) e non solo, e puntando a valorizzare le eccellenze presenti in città, avendo ben chiaro che, in tempi di «vacche magre», importante è anche allargare il proprio pubblico. Bisogna dire che l'operazione è riuscita, sia in termini di numeri che di scelte valoriali.
Da questo punto di vista la capacità della Fondazione Palazzo Ducale è stata quella di abbandonare scelte ed orientamenti «ideologici» per puntare alla promozione delle specificità e della memoria dei luoghi della città. Prova ne siano - a guardare il programma appena presentato - l'idea del Festival paganiniano, i richiami risorgimentali, la visione mediterranea, l'attenzione al porto (dall'Ottocento agli inizi della globalizzazione). Con incursioni non banali sul tema della guerra (a cui è dedicata la seconda edizione de «La Storia in Piazza»), della religiosità, della «Creazione».
Sono filoni di grande suggestione, che confermano la «svolta» postideologica delle politiche culturali del Comune di Genova e della sua Fondazione di riferimento, verso cui anche il centrodestra deve iniziare ad interrogarsi in modo non banale.
Intanto per prendere atto che il «modello Genova», elaborato dalla Fondazione Palazzo Ducale, non può essere giudicato usando le solite, spuntate armi della polemica ideologica e politica. Se metologicamente la «cabina di regia» ha funzionato e funziona, in termini di contenuti bisogna prendere atto che, sulla carta, non c' è nulla «di sinistra» nel ricco programma 2010-2011.
Non c'è ne «il Bacio» risorgimentale di Hayez, icona dell'Unità nazionale, nel Mediterraneo, letto attraverso i dipinti «da Courbet a Monet a Matisse», nelle recuperate stanze della Duchessa Maria Brignole Sale, nelle domande sulla religione (vista attraverso i templi delle Grandi Religioni Monoteiste).
Di fronte a questa «offerta», più che polemizzare banalmente o, peggio, alzare bandiera bianca, è urgente che il centrodestra accetti e rilanci la sfida, insieme culturale e politica.
Intanto individuando gli «anelli deboli» del «modello» culturale fin qui sviluppato dal Comune di Genova e dalla sua fondazione di riferimento. A mio parere sono tre: la gestione dei musei (numericamente eccessivi, scollegati tra loro e di scarso impatto suggestivo), il mancato coordinamento dell'offerta teatrale (laddove si potrebbe perfino ipotizzare un «marchio Genova» ed una conseguente pubblicità integrata tra i vari soggetti operanti nel settore), lo scollegamento con il naturale «entroterra» genovese (Milano e Torino), con cui si potrebbero realizzare significative sinergie.
Poi cercando di inserirsi con proprie, adeguate proposte «di valore», che mettano in primo piano le domande di libertà e di identità, di Sacro e di Bello, che sono più congeniali al centrodestra. L'associazionismo «di destra» da una parte e le presenze istituzionali dall'altra (pensiamo ai tanti assessorati alla cultura delle amministrazioni governate, in Liguria, dal centrodestra) potrebbero sviluppare un loro protagonismo, di livello, integrandosi nelle attività della Fondazione genovese.
Ma c'è anche una questione non secondaria «di metodo» su cui finalmente, anche localmente, il centrodestra deve iniziare a dare indicazioni chiare, a partire dall'ambito culturale. La politica del rigore e quindi dei tagli deve essere percepita come un mezzo, per fare ordine e chiarezza nelle scelte e nella destinazione delle risorse, ma deve attivare le necessarie contromisure, in sede legislativa ed operativa.
Passare per essere dei «tagliatori» di teste non è una bella immagine per una forza politica che si considera portatrice di valori «di civiltà», incardinati nella nostra migliore tradizione nazionale ed europea. Bisogna allora iniziare a dire a quale modello di organizzazione culturale si vuole lavorare, con quali processi d'integrazione tra pubblico e privato, indicando quali priorità, privilegiando quali ambiti.
Da questo punto di vista il «modello Genova» è una sfida, con cui è urgente iniziare a confrontarsi e a rispondere. Alzando il tiro ed il livello della critica, consapevoli che anche sulla cultura si gioca una partita importante in termini di credibilità e di consenso reale.
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