Nuova crociata di Ahmadinejad: cacceremo i laici dalle università

Il presidente iraniano annuncia la «rivoluzione culturale» islamica per sradicare qualsiasi forma di dissenso. Bush: «È un tiranno e una minaccia come Al Qaida»

Gian Micalessin

«Ripuliamo le università». Il nuovo slogan per il nuovo balzo a ritroso è già pronto. Quel balzo, nella mente dei suoi ispiratori, deve ricondurre gli atenei iraniani ai giorni esemplari della rivoluzione islamica quando professori e studenti troppo inclini alle suggestioni della cultura occidentale rischiavano la galera o peggio. Ma il repulisti di professori e intellettuali non allineati deve, anche, prevenire rivolte o sommosse universitarie capaci di tracimare nelle piazze mettendo a rischio la sopravvivenza del sistema.
Il profeta della reazione, il portabandiera della rinascita radicale è ancora una volta l’incontenibile presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ieri Bush - tornando sul pericolo rappresentato da un Iran armato ddell’atomica - ha definito «un tiranno» paragonando la minaccia del suo regime a quella di Al Qaida.
Per lanciare la sua nuova battaglia il presidente pasdaran sceglie un incontro con quei gruppi di studenti radicali che da due anni lo considerano il loro idolo. Ai fan in attesa il presidente distribuisce immediatamente i nuovi ordini di combattimento. «Oggi invece di salutarmi e inneggiarmi dovreste gridarmi contro, chiedermi perché i professori liberali e i portavoce del secolarismo continuano a infestare le nostre università», attacca Ahmadinejad che, subito dopo, si lancia in una sfrenata critica del sistema scolastico e universitario iraniano. A dar retta al presidente, 27 anni di Repubblica Islamica non sono riusciti a far piazza pulita di un sistema educativo infestato per oltre 150 anni dalla mala pianta del secolarismo e del laicismo. Ma ora, promette il demiurgo della nuova purezza rivoluzionaria, «il cambiamento è iniziato». Qualcuno se n’è già accorto.
A novembre l’esecutivo del presidente, insediatosi da pochi mesi, nomina per la prima volta un esponente religioso alla guida dell’ateneo di Teheran. Le immediate proteste di studenti e docenti peggiorano soltanto la situazione. Nei mesi successivi decine di docenti universitari considerati non in linea con la nuova politica del rigore radicale vengono costretti al pensionamento o all’abbandono dell’insegnamento.
A primavera anche la macchina della repressione poliziesca ricomincia a mettersi in moto. Il 25 aprile il docente e filosofo professor Ramin Jahanbaglou viene arrestato di ritorno da un viaggio in India e sbattuto in carcere per quattro mesi con l’accusa di aver collaborato con gli americani. Ad agosto lo studente dissidente Akbar Mohammadi, arrestato e condannato a una lunga pena detentiva dopo la protesta studentesca dell’estate del ’99, viene ritrovato morto nella sua cella. In questi giorni almeno altri due prigionieri politici legati al movimento d’opposizione universitario starebbero rischiando grosso. Valiollah Feyz Mahdavi, secondo i suoi legali, è in gravi condizioni in seguito ai disturbi cardiaci e neurologici intervenuti dopo uno sciopero della fame. Ahmad Batebi, un altro esponente del dissenso studentesco detenuto da oltre sei anni, è stato nuovamente arrestato dopo un brevissimo permesso d’uscita dal carcere e trasferito, secondo la moglie, in un centro di detenzione sconosciuto ad avvocati e familiari.
All’origine del nuovo giro di vite contro professori e studenti troppo inclini al liberalismo c’è la grande paura di una rivoluzione di velluto. Per le correnti più radicali del potere iraniano le università sono ridiventate le incubatrici di una protesta manovrata dagli americani e capace di minacciare il sistema. Il primo ad ammetterlo è il ministro dell’Intelligence Qolamhoseyn Mohseni Ezhe’i. Lo scorso luglio il ministro motiva l’arresto del professor Ramin Jahanbaglou accusandolo di collaborare con gli Stati Uniti proprio allo scopo di «provocare una rivoluzione di velluto in Iran». A detta di Ezhei i nuovi focolai di dissenso accesisi nelle università sono il frutto dei «numerosi tentativi americani di fomentare l’insicurezza e la tensione in Iran».
Gli strilli di Ahmadinejad contro il pensiero liberale e contro i professori non in linea con i principi della rivoluzione islamica non sono dunque semplici slogan, ma i segnali della nuova offensiva lanciata dal governo per sradicare dagli atenei ogni forma di dissenso e protesta.

Ad annunciarla è un presidente a cui la Costituzione attribuisce anche il ruolo di capo del Consiglio per la Rivoluzione Culturale. A metterli in pratica ci penseranno quelle falangi conservatrici del movimento studentesco già utilizzate sei anni fa per seminare il panico nelle università occupate dai dissidenti legati ai gruppi riformisti.

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