E pensare che anche le streghe di Brera credevano di avere d’ora in poi, vita più facile nel predire il futuro della Pinacoteca e dell’Accademia, le star del loro quartiere. Per ora non sarà così: la Grande Brera è un progetto sempre più concreto, eppure non si placano le voci contro le modalità del suo ampliamento. E non si sono placate nemmeno ieri quando, di fronte ad una salone ricolmo e ad un cortile d’onore gremito ed attrezzato con tanto di maxi schermo, è andata in scena - sotto l’egida di Aldo Bassetti presidente degli Amici di Brera - la presentazione del «Non progetto» della Grande Brera, così come lo ha definito il suo creatore, l’architetto Mario Bellini che, con il suo team, si è aggiudicato a metà agosto «la patata bollente della Grande Brera», alias la gara europea bandita dalla Direzione generale del ministero dei Beni culturali, del valore di 2 milioni e 300 mila euro. Bellini è stato chiaro: senza né poter prendere una misura, né eseguire sopralluoghi, il suo «progetto» somiglia più ad un distillato di ipotesi, una filosofia di sviluppo. Una vaghezza, non priva peraltro di precise soluzioni, come in verità prevedeva lo stesso bando che, come ha ricordato la Sovrintendente Sandrina Bandera era il primo, coraggioso, passo verso un futuro improrogabile.
Solo che forse si è andati un po’ troppo oltre: il «non progetto» di Bellini era in verità così dettagliato da prevedere anche ciò che ancora non c’è, e cioè il coinvolgimento di palazzo Citterio, acquisito da Brera e dallo Stato, ma non incluso nel bando fra le proprietà «disponibili» per fare di Brera la Grande Brera.
Un «allargamento» non richiesto e non gradito che ha suscitato i cori contrari degli studenti e dei docenti dell’Accademia che hanno mal digerito la delibera che prevede il trasloco delle attività didattiche nella ex distretto militare di via Mascheroni: 5mila metri in zona Brera, contro il doppio in zona Conciliazione non paiono un buon affare. Nei sogni dell’Accademia non è ancora tramontata la speranza di un’occupazione, pur in condominio con la Pinacoteca, di palazzo Citterio. Non è una questione di affetto fra i due enti, ma di presenza sul territorio. Sia come sia fra il progetto, pur filosofico, di Bellini & Co. e quello auspicato - e pure presentato in video - dal ministero, ci sono una serie cospicua di affinità ma anche qualche sostanziale divergenza. Corrispondono le finalità illustrate sia da Bellini, sia Bandera e da Mario Turetta, nuovo direttore per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia. Ampliamento degli spazi, riallestimento dei percorsi espositivi, recupero di visibilità per le opere più nascoste, sviluppo di servizi al pubblico, dai punto di ristoro al book shop. «In questo museo si accede dal book shop, si visita il Cristo morto di Mantegna in un corridoio che non invita a sostare, il laboratorio di restauro sorge in mezzo ad una sala e mancano spazi indipendenti per esposizioni temporanee» è la diagnosi concreta e spietata di Bandera cui il progetto, di Bellini risponde, mutuando da altri progetti che lo studio di architettura ha realizzato nel mondo da Melbourne al padiglione di arte islamica del Louvre a palazzo Pepoli di Bologna: la soluzione - che strizza l’occhio anche al British Museum ripensato da Norman Foster - muove da una copertura del cortile d’onore in modo da sistemarvi caffè, biglietteria, book shop e guardaroba. La Brera di Bellini prevede, dove ora c’è l’Accademia, una gipsoteca e uno spazio monografico su Hayez. Modificati anche i colori delle pareti: la Cena in Emmaus, per esempio, avrà uno sfondo rosso che ne accende i colori. Un nuovo punto ristoro è previsto all’orto botanico che avrà anche una nuova serra e servirà da passaggio a palazzo Citterio dove saranno ospitate invece le collezioni del Novecento e forse gli uffici amministrativi.
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