La nuova questione sociale

Il livello di digitalizzazione si ripercuoterà sempre più sulle politiche industriali. Cambierà i rapporti tra nazioni ma anche quelli tra esseri umani

La nuova questione sociale

La digitalizzazione è una rivoluzione culturale, sociale e industriale che procede a ritmi elevatissimi e sta segnando una discontinuità con tutto quello che Homo Sapiens ha vissuto fino ad oggi. Il suo inizio affonda le radici a metà dello scorso secolo con l'invenzione dei suoi componenti principali: il transistor - l'elemento di calcolo di base che produce i dati 1 e 0 dei codici - e il microprocessore - il complesso di transistor e altri piccoli componenti che processano i dati 1 e 0 facendo calcoli ed elaborando le informazioni. Negli ultimi settant'anni, grazie agli immensi sforzi della ricerca e alla crescita dell'industria elettronica, la dimensione dei transitor è diminuita costantemente passando dai millimetri ai miliardesimi di metro - questo è uno dei principali risultati della nanotecnologia. Grazie a questa riduzione di dimensione, il numero di transistor impacchettati nei microprocessori è aumentato corrispondentemente. Oggi in un microprocessore possono esserci miliardi di transistor che consentono potenze di calcolo impensabili sino a pochi anni fa.

Uno smartphone odierno ha una capacità di calcolo molto superiore a quella del computer che governava il modulo LEM che portò l'uomo sulla Luna per la prima volta. I microprocessori, diventando sempre più piccoli e sempre più potenti, hanno potuto essere impiegati in oggetti sempre più vari e interconnessi fra loro. Non solo computer, smartphone o sistemi robotici ma anche elettrodomestici intelligenti, quella che oggi chiamiamo domotica, automobili, aerei, satelliti. La rete internet, i social e tutte le applicazioni digitali che usiamo (si pensi ai network TV digitali) sono possibili perché esistono computer molto potenti che processano dati e immagini a velocità altissime e li immettono in reti - in fibra ottica ma, sempre più, anche wireless, come il 5G - che li propagano istantaneamente. Per questo oggi possiamo vedere un film o un evento sportivo direttamente sul nostro telefono. I dati, le immagini e tutte le informazioni da processare sono conservati in immense memorie distribuite (il cloud) che a loro volta dialogano con i supercomputer per poter addestrare gli algoritmi che elaborano le informazioni, fanno previsioni e moltiplicano i servizi per noi utenti. Disporre di dati e di potenza di calcolo consente di prevedere eventi e di simulare situazioni complesse proprio come facciamo noi umani, ma in una scala esponenzialmente più estesa.

È questa l'essenza dell'intelligenza artificiale: un sistema di accumulo di dati prelevati dall'ambiente attraverso i sensori, che vengono poi elaborati per prevedere l'evoluzione degli scenari e prendere le dovute decisioni. È solo oggi che questo approccio tecnologico ha raggiunto la sua maturità, perché è solo di recente che i supercomputer hanno ottenuto potenze di calcolo paragonabili a quelle di un cervello umano (sia pur con funzionamenti totalmente differenti, siamo oltre decine di milioni di miliardi di operazioni al secondo!!). Una delle frontiere dell'intelligenza artificiale, ad esempio, è quella di sviluppare una rappresentazione digitale della Terra e dell'essere umano. Avere a disposizione una copia digitale del pianeta ci consentirebbe di studiare e agire poi per mitigare o annullare gli effetti delle attività umane sull'ambiente. Magari invertendo il processo di riscaldamento del pianeta o recuperando alcune aree inquinate. Le stesse tecnologie applicate alla modellazione del corpo umano, ci consentirebbero di prevedere tutte le malattie di un singolo individuo, personalizzare terapie e stile di vita. Ma senza guardare a futuri lontani, già oggi la digitalizzazione, attraverso le immagini che provengono dall'ecosistema dei satelliti che monitorano continuamente il pianeta, ci consente di verificare lo stato di salute delle infrastrutture, con la possibilità di evitare incidenti e programmare interventi. Ci dà indicazioni esatte sui livelli di inquinamento di un territorio o il grado di fertilità di un determinato terreno. La digitalizzazione ha anche inaugurato l'era della medicina personalizzata. Poter simulare l'interazione del Dna a partire dai dati reali provenienti dal sequenziamento dei genomi dei singoli individui, ci sta consentendo di capire sempre meglio i meccanismi biologici attraverso cui rimaniamo in salute. La possibilità di conoscere il genoma del coronavirus ci ha consentito di realizzare in tempi record il vaccino per un virus sconosciuto. Simulare digitalmente l'interazione fra il nostro genoma e una cellula tumorale ci sta consentendo di comprendere come intervenire con farmaci mirati, una alternativa sempre più possibile rispetto a metodi più invasivi. Siamo agli albori della medicina personalizzata ma già da ora possiamo intravedere la prospettiva. L'orizzonte di attuazione sarà nel prossimo decennio.

Il livello di digitalizzazione di un Paese determina il suo posto nel mondo. Al pari, o forse più, del Pil, la capacità di calcolo e di storage pro capite è l'indicatore più appropriato per definire il livello di avanzamento di un Paese. Il digitale è sempre più una risorsa strategica. Se guardiamo, ad esempio, alla lista TOP500.org dei più potenti supercomputer non-distribuiti al mondo, vediamo che la nazione con la potenza computazionale complessiva più alta sono ancora gli Stati Uniti. In terza posizione, dopo il Giappone, troviamo la Cina, con quest'ultima che sta mettendo in campo investimenti senza precedenti ed è già seconda per numero di sistemi. Ma fra le prime ci sono anche Finlandia e Italia.

Si tratta di problematiche di politica industriale cruciali per un Paese che vuole restare competitivo, ma non sono le uniche. Ad un livello più strutturale, le tecnologie del digitale interrogano il cuore delle società avanzate su due questioni interconnesse e fondamentali per la loro tenuta: la crescita delle diseguaglianze e la trasformazione del mercato del lavoro. Se non governata adeguatamente, la diffusione in ogni aspetto della vita quotidiana di IA e robotica rischia, infatti, di replicare le disparità esistenti, a livello di nazioni e tra individui, garantendo i benefici dell'innovazione solamente a chi dispone di redditi elevati. Il digital divide nell'accesso a internet è un problema già riconosciuto dall'economia dello sviluppo. Si aggiunge il fatto che non tutte le tecnologie del digitale sono pienamente mature e cost-effective. Prendiamo l'automotive: negli ultimi vent'anni, in Italia il prezzo medio di un'automobile nuova è cresciuto di quasi il 100 per cento, mentre il reddito familiare medio solamente di un quinto; e lo sviluppo dei software per la guida autonoma e l'elettrificazione, nel breve termine, rischiano di acuire ulteriormente le sperequazioni.

C'è poi il problema delle competenze, legato a quelli che il sociologo Alvin Toffler chiamava «choc del futuro»: se proiettiamo l'attuale trend di sviluppo tecnologico, che ha visto una progressiva accelerazione dell'innovazione nel corso del tempo, possiamo aspettarci che le prossime generazioni, nell'arco della loro vita, faranno esperienza di almeno tre o quattro invenzioni disruptive, capaci cioè di rivoluzionare profili professionali e organizzazione del lavoro; e chi non saprà adattarsi sarà lasciato indietro. La competitività di un Paese sarà quindi determinata anche dalla sua capacità di adattare il proprio modello di welfare e il sistema dell'educazione per supportare un turnover più elevato sul mercato del lavoro, favorire la ricollocazione e la formazione continua.

La corsa verso il primato tecnologico nella digitalizzazione determinerà la nuova gerarchia delle nazioni. È una sfida epocale per ogni Paese che voglia dirsi evoluto.

Investire in Intelligenza «naturale» e in intelligenza artificiale rappresenta il miglior investimento per la prosperità e per la sicurezza di un Paese nel lungo periodo.

* Amministratore Delegato e Direttore Generale di Leonardo

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