Nuova tempesta europea, Borse in picchiata

Giù le Borse, ma non è una sorpresa. Forse bisognerebbe chiedersi perché fossero salite tanto dall’aprile del 2009. Innanzitutto i numeri: Milano ha perso il 3,40%, Madrid il 3%, Parigi, il 2,34%. Non si salva nessuno, nemmeno Wall Street che ieri è scesa sotto quota diecimila. Alcune Borse dei mercati emergenti sono andate anche peggio, come Mosca (-5,5%) e Riad (-6%).
Un altro attacco all’euro? Solo in parte, la moneta unica ieri si è indebolita, ma non troppo toccando 1,2286 contro il dollaro. Più preoccupante, in chiave italiana, è l’aumento dei Cds, ovvero di Credit Default Swap, ovvero i derivati che servono ad assicurarsi contro il rischio di insolvenza dei titoli di Stato; quello sui Btp è passato oltre quota 140. Questo significa che è diminuita la fiducia nei titoli di Stato italiani non tanto da parte degli investitori, quanto degli speculatori. I Cds, infatti, hanno perso la loro funzione originaria e sono diventati uno degli strumenti prediletti per piazzare scommesse o realizzare profezie, in un mercato che non è trasparente, né equo. Ben il 75% dei Cds, che valgono 32mila miliardi di dollari, è in mano a cinque banche d'affari Usa. Le solite che possono fare il bello e il cattivo tempo.
La domanda cruciale è: i soliti ambienti di Wall Street hanno deciso di scommettere anche contro l’Italia? Nessuno può escluderlo, anche se è difficile che, in questi frangenti, trovino appigli credibili. Tremonti ha tenuto i conti in ordine e proprio ieri il governo ha presentato una finanziaria seria. L’Italia, insomma, non è la Grecia e nemmeno la Spagna.
Le scivolate delle Borse sono state provocate, piuttosto, dalle difficoltà di Cajasur, la cassa di risparmio cattolica che è stata salvata dalla Banca centrale spagnola. È la prima volta che un istituto del Sud dell’Europa deve essere soccorso e questo ha rilanciato i dubbi sulla solidità del sistema finanziario internazionale, facendo crollare non pochi titoli, senza ragioni plausibili. Voci, sussurri, sospetti. Quando c’è nervosismo, basta poco per provocare terremoti. Unicredit, ad esempio, ha perso quasi l’8%, Lloyds il 9%, come le irlandesi Allied Irish e Bank of Ireland.
Alcuni, come il Financial Times, denunciano una situazione debitoria catastrofica delle casse di risparmio tedesche, mentre alcuni analisti improvvisamente si accorgono che nelle pance delle banche rimangono asset tossici per 9mila miliardi di dollari. Bisognerebbe chiedersi perché fino a oggi non li avessero considerati.
La grande corsa dei mercati azionari è cominciata nell’aprile del 2009, quando i mercati capirono che gli Stati non avrebbero lasciato sprofondare le grandi banche. Prevalse, insomma, il concetto del «too big to fail», troppo grandi per fallire; inoltre i governi vararono incentivi economici per sostenere l’economia reale. Dalla grande paura si passò alla grande euforia. La prima era esagerata quanto la seconda. Ma da quando imperano i derivati, il cui valore è pari a dieci volte il Prodotto interno lordo mondiale, le oscillazioni tendono a essere impetuose e violente.
L’anno scorso gli economisti più saggi ammonivano che le banche non erano state ricapitalizzate a sufficienza e che la ripresa rimaneva molto fragile, con una disoccupazione in aumento. Ma la Borsa non sentiva ragioni. E volava.
Ora ci si accorge che le banche non sono così in salute e che la ripresa è anemica, anche negli Usa, dove infatti già si invoca un altro pacchetto di stimolo. Aggiungete i dubbi sul sistema euro, le scommesse al ribasso dei grandi fondi hedge e il quadro è completo. I mercati di tutto il mondo vengono giù. Chi ha guadagnato negli ultimi mesi preferisce monetizzare i margini residui, accentuando la spinta al ribasso.


Di certo l’investitore che si chiede cosa fare è meglio che si prepari ad altre giornate complicate. Secondo il guru Roubini caleranno di un altro 20%. Forse si sbaglia. Ma la volatilità è destinata a rimanere alta. La Borsa va bene, di questi tempi, solo per chi può permettersi di aspettare. E non è troppo emotivo.

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