
Ma davvero fare i medici o fare gli avvocati è diventato inutile? Davvero non conviene più studiare, tanto ci pensa l’intelligenza artificiale? Così almeno titola Futurism, che di divulgazione scientifica ha solo la parola nel sottotitolo (sarebbe “Science and Technology News for the Future”, wow!) e in pratica è un sito (anche molto seguito, per carità) che campa di profezie apocalittiche, aspettando Skynet.
Questa volta il pretesto era un’intervista a Business Insider in cui un ex dirigente di Google, Jad Tarifi, aveva dichiarato che certi percorsi accademici troppo lunghi rischiano di essere superati dalla velocità dell’innovazione. Ok, però era un discorso con molti distinguo, tanti se e tanti ma. Immediatamente trasformata da Futurism in un editto universale: addio medici, addio avvocati, l’AI si laurea prima di voi, occupatevi solo di AI (sul serio?).
Peccato che i fatti vadano in direzione opposta, almeno per ora, e forse per bel po’, visto che l’hype della scalabilità infinita delle AI sta scemando. Qualche esempio? In Alabama tre avvocati hanno consegnato atti pieni di citazioni inventate da ChatGPT: il giudice Anna Manasco li ha cacciati dal caso e segnalati all’Ordine. In New Jersey e Mississippi due giudici federali hanno dovuto ritirare decisioni piene di cause mai esistite, giustificandosi con “errori clericali” che puzzavano di copia-incolla da chatbot. In Argentina, in UK, in Australia lo stesso spettacolo: avvocati che delegano il lavoro al chatbot e finiscono a produrre documenti da romanzo di fantascienza. In California il capolavoro: un brief pieno di errori, contestato, riscritto sempre con l’IA, riconsegnato e ancora pieno di citazioni inventate.
Non è molto diverso sul fronte medico. Non serve immaginare scenari futuri: già oggi usiamo sistemi che sfruttano algoritmi di riconoscimento, dalle macchine che analizzano una TAC ai software che leggono un elettrocardiogramma, eppure i medici non sono spariti, anzi più la tecnologia si fa sofisticata e più serve qualcuno che sappia interpretarla e correggerne gli errori. Perché non è lo strumento che garantisce la cura ma chi lo usa, soprattutto quando c’è di mezzo la salute, e più è potente lo strumento più diventa indispensabile chi lo controlla (e non un controllore qualsiasi, serve sempre un medico qualificato che sa distinguere un’anomalia vera da una statistica inventata). Immaginatevi un’AI che sbaglia una diagnosi, sbaglia la cura, uccide il paziente, e intorno chi ci immaginate, quattro esperti di AI che fanno spallucce?
A proposito: il MIT Media Lab calcola che il 95% dei progetti aziendali di intelligenza artificiale non porta risultati concreti. Non è che l’IA si laurei prima, si laurea comunque portandosi dietro le sue allucinazioni, e probabilmente se le porterà dietro per sempre (nonostante i vari fix, i LLM continuano a avere allucinazioni).
Insomma, ragazzi, altro che la fine di medicina e legge: il vero collasso è quello dell’informazione tecnologica, e mi riferisco a quella che vive di catastrofi immaginarie e di titoli sensazionali. AI senza hype, come dice Enkk. Meravigliosa ma diamoci una calmata. E se proprio devo dirla tutta, anche sull’arte devo ancora vedere qualcosa di interessante che non siano video virali, meme, remix di stili già noti, immagini scopiazzate da altre immagini, idee rivoluzionarie zero.
Già perché tutti parlano di arte con l’AI (come una volta degli NFT) come qualcosa di rivoluzionario, come se il mezzo fosse già il fine, e pensare a Marcel Duchamp bastò spostare un orinatorio per spostare per sempre i confini dell’arte contemporanea.