«O tempora o mores». Cambiano i tempi, cambiano usi e costumi, cambia la comunicazione. Insieme al flusso dei migranti cambia anche il linguaggio: nascono nuove parole, si consolidano modi di dire, sinstaura un nuovo gergo. E su molti temi regna lassoluta confusione. Provate in questi giorni a scanalare con il vostro telecomando a caso. Vimbatterete in programmi dove lesperto di turno si esprimerà con termini sconcertanti, in genere accostati a casaccio: multietnicità, multiculturalismo, interculturalismo, transculturalismo, pluralismo identitario, globalizzazione semplice, globalizzazione complessa, internazionalismo localizzato, localismo internazionalizzato, universalismo potenziale, cosmopolitismo regionale, integrazione trasversale, disintegrazione totale...
Per non parlare dei neologismi, una babele da brivido: la mia «extra-colf», il mio «clande-autista» (che non è un enorme cinese alla guida di un auto, ma un semplice tizio in attesa di regolarizzazione), la mia «euro-badante». E a proposito di «euro», è un suffisso che piace moltissimo e viene usato a man bassa per alzare i livello della conversazione: euroinformazioni, eurointeressi, euroimbarazzi, eurodisastri ecc. Riguardo agli stranieri planetari, attualmente cè da sbizzarrirsi: extracomunitari, neocomunitari, comunitari semplici, comunitari complessi, ex comunitari, futuro-comunitari («mamma li turchi») ecc. E poi le lingue: cosa dire dellinglesismo imperante dell«I spic globish», descritto in un recente articolo su questo stesso giornale? Tra il «franglais» (francese-inglese), il «japlish» (nippo-inglese), lo «spaninglish» (spagnolo-inglese) e via elencando, è un vero casino multi-inquietante.
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