«Il nuovo anno? Tutti in vacanza a Milano»

M ilano che cambia, un desiderio per Milano: se ne parla ogni giorno e ogni giorno si commenta, s'inventa, si progetta. Ma il momento dei buoni propositi è sempre il primo giorno dell'anno, quello del nuovo inizio, quello in cui qualcosa deve accadere per forza. E chi meglio di uno scrittore milanese sa immaginare un evento, minimo o straordinario, che può cambiare per sempre la sua città, annullare il tempo e lo spazio e dare voce a un sogno? Abbiamo provato a giocare, con sei scrittori che Milano ce l'hanno nel cuore e nella penna da sempre, a chiedere loro di immaginare di svegliarsi, il primo giorno dell'anno del 2010, e scoprire che la vertigine poetica ha invaso la città e che Milano è davvero cambiata. «Potrebbe essere una cosa molto semplice» ci ha risposto lo scrittore e architetto milanese Gianni Biondillo, autore di Metropoli per principianti e Nel nome del padre (Guanda). «Il primo gennaio del 2010 a Milano accade che c'è un bel raggio di sole, uno spiraglio di cielo azzurro, i milanesi escono di casa e invece di andare a Sharm El Sheik fanno una vacanza a casa loro. Per la prima volta dopo tanti anni sono gentili, camminano con il naso in su, alla scoperta di una città che non conoscono, la propria, e la amano. Fanno il giro delle abbazie, Viboldone, Garegnano, Chiaravalle, Mirasole. Oppure fanno un salto alla chiesa ortodossa di via Lazzaretto, che è la più piccola cattedrale d'Europa e non lo sa nessuno. Milano è bellissima: basta non pensare sempre e soltanto a lavorare».
Visionaria ma legata alla tradizione è invece la risposta della giovane scrittrice Elena Mearini, appena arrivata in libreria con 360 gradi di rabbia (Excelsior1881): «Ho immaginato che un minuto prima della mezzanotte, durante il solito raduno dei milanesi in piazza Duomo che attendono il brindisi, a un certo punto si veda una luce molto potente arrivare dalla guglia più alta. La Madonnina si anima e scende tra la folla. Tutti si guardano spiazzati per capire se è una visione privata, intima o collettiva, che si possa dire reale. Quando capiscono che sta accadendo davvero sono tutti pietrificati. La Madonnina poi parla e incita i milanesi a un urlo generale, quasi feroce. Dura un minuto. Quando termina, tutti sono sfiniti, in un grande silenzio e la mezzanotte è arrivata. Ma si accorgono che è accaduta una grazia: ognuno conosce il nome del vicino. E nasce, tra i milanesi, un'amicizia istintiva, quella di un'umanità che prima stava fianco a fianco ma si dimenticava che chi ci sta accanto ha un nome e dunque una storia».
Legato al Duomo è anche il capodanno immaginato da Luca Doninelli, scrittore e giornalista, la cui ultima opera è L'incendio dei sogni (Garzanti): «Nella strada che passa accanto al Duomo, dove si trova l'arcivescovado, il nome è cambiato: dal 1 gennaio 2010 è intitolata a Francesco Croce, l'architetto che ha costruito la guglia più alta della cattedrale e che nessuno ricorda mai, a cui nulla è dedicato e che invece ha progettato ciò che milanesi e non milanesi guardano di più nella città. Sarebbe anche un modo per ritrovarsi e ritrovare una città che non si conosce».
Per Tommaso Labranca, saggista, critico e scrittore, in libreria da pochissimo con Michael Jackson. L'uomo nello specchio (Rizzoli) «Il primo gennaio 2010 ci svegliamo e troviamo pronti i grattacieli di Liebeskind. Una passeggiata fino alla zona Fiera e tutto è finito, sono lì, pronti da fotografare e far uscire sui giornali, senza nessuno scandalo. È un sogno, lo so, perché non sappiamo se e quando verranno su e invece a me piacciono molto, alla faccia di Celentano. Ma non basta innaffiare e aspettare che crescano». Poetica e sognante la mattina del primo gennaio di Micol Beltramini, che ha descritto una città inedita in 101 cose da fare a Milano e che a fine gennaio sarà in libreria con 101 luoghi dove innamorarsi a Milano (Newton Compton): «Ho appena preso casa sui Navigli, a pochi civici da dove viveva Alda Merini. È l'alba del primo giorno dell'anno, e mi è venuta voglia di passeggiare. Seguo il naviglio Grande fino alla sua Darsena; è tornata come un tempo, non c'è più nemmeno quel ridicolo cartellone. Più avanti la via d'acqua fa una curva; prosegue in direzione Brera, fino al sagrato di San Marco. Il Tombone è di nuovo pieno, la chiusa funzionante; un altro ramo si spinge fino a via Laghetto, da dove arrivava il marmo per costruire il Duomo. Pare impossibile, eppure la città ha di nuovo i suoi navigli. Specchiarsi in sé stessa le fa bene; la aiuta a comprendere cos'era un tempo, prima di dar retta ai nuovi idoli; le fa capire perché era grande, e perché può tornare ad esserlo ancora».
Immersa in un immaginifico silenzio, dovrebbe essere da Capodanno la città secondo Aldo Nove, che ha appena pubblicato appunto Si parla troppo di silenzio (Skira) su un immaginario incontro tra Edward Hopper e Raymond Carver: «Il primo gennaio 2010 si è verificata la sparizione totale delle auto nel centro storico.

Passeggiando a piedi in una dimensione che non esiste più si sta come negli anni Venti o Trenta: qualche carrozza o qualche macchina ogni tanto, da via Torino al Duomo, fino a Porta Venezia e corso Buenos Aires. Niente più mezzi a motore in superficie: solo chessò, quindici linee del metrò. E poi svegliarsi all'alba e sentire il silenzio, scendere nella strada vuota e passeggiare».

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