Parigi - Il più bel film dell'anno appena iniziato è questo qui che a Parigi celebra in anteprima e in più di trenta sale la magia del cinema nel nome del sogno, dell'invenzione e della fantasia. Opera del talento di Martin Scorsese, è un omaggio al genio visionario di Georges Méliès, illusionista, prestigiatore, pioniere del muto. Girato in 3D, Hugo Cabret si avvale di attori del calibro di Ben Kingsley, Jude Law, Sasha Baron Cohen, Christopher Lee, ha fra i suoi produttori Johnny Depp e si affida per le scene al premio Oscar Dante Ferretti. Il risultato è una favola moderna che ha per decoro la Parigi degli anni Venti del Novecento riportata poeticamente in vita: la Biblioteca Sainte Geneviève dell'architetto Labruste sulla piazza del Panthéon, l'anfiteatro della Sorbona, la piazza Edouard VII a due passi dall'Opéra e dall'Olympia, con la statua equestre dell'omonimo re d'Inghilterra allora regnante, il boulevard Saint-Martin dove Méliès visse. Solo per la stazione di Montparnasse, oggi scomparsa, dove la storia principalmente si svolge, Scorsese ha lavorato in studio, ma ispirandosi alla Gare du Nord per gli esterni, alla gare de Lyon per l'ingresso, al gigantesco orologio della Gare d'Orsay, oggi museo d'arte moderna, per ricreare fra i suoi meccanismi il rifugio segreto del giovane protagonista.
All'inizio del Novecento, Georges Méliès girò un centinaio di film, il primo a fare dell'invenzione dei fratelli Lumière qualcosa di diverso dalla semplice riproduzione visiva di un avvenimento. Con Le Voyage dans la lune, un cortometraggio di 14 minuti, un lungometraggio per l'epoca, il 1902, in cui venne girato, Méliès creò persino il cinema a colori prima del colore stesso: immagine dopo immagine, applicava il pennello sulla pellicola, tinta dopo tinta, per le figure come per i paesaggi, con un risultato irreale, ma emotivamente appassionante. Nell'Histoire du cinéma che Robert Brasillach e Maurice Bardèche scrissero negli anni Trenta, Méliès ha giustamente il posto d'onore e molto della sua arte e della sua personalità c'è in un romanzo coevo dello stesso Brasillach, Le marchand d'oiseaux.
La Grande guerra uccise cinematograficamente Méliès. Al ritorno dalle trincee, quel mondo fiabesco e insieme artigianale, non aveva più senso: chiusi i suoi studi cinematografici di Montreuil perché sommerso dai debiti, Méliès per disperazione bruciò gran parte della sua opera, cercò di dimenticare chi era stato, comprò un negozietto di giocattoli e vi si seppellì dentro, ancora vivo e però da tutti dimenticato e dato per morto.
Hugo Cabret parte da qui, con il dodicenne Hugo (lo straordinario Asa Butterfield), figlio orfano di un orologiaio che si nasconde nel brulichio e nei meandri della stazione ferroviaria di Montparnasse per sfuggire all'orfanotrofio che colpisce i senza famiglia, e intanto cerca di trovare in un automa meccanico, unico ricordo rimastogli del padre, la chiave per capire il perché di quella morte e il perché del suo stare al mondo. Dal padre, Hugo ha ereditato la passione per gli oggetti, per il loro funzionamento, per il mistero che si nasconde dietro ognuno di essi. Il tentativo di aggiustare quell'automa così complesso gli farà incontrare Méliès, ovvero proprio l'uomo che tanti anni prima l'aveva costruito, e porrà le basi alla successiva riscoperta del suo genio e della sua opera.
Nel film, tutto è un omaggio al cinema, e tutto è soffuso di grazia malinconica. La ricchezza del 3D permette a Scorsese giochi di illusione che incantano lo spettatore, ma non c'è mai nulla di forzato nel nome degli effetti speciali.
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