da Il Cairo (Egitto)
"Vedo cose meravigliose", disse l'archeologo britannico Howard Carter dopo aver sbirciato per la prima volta nella tomba di Tutankhamon, il re bambino. Era il 4 novembre del 1922 e più di un secolo dopo, ma sempre nella stessa data, quelle "cose meravigliose" e molte più hanno finalmente trovato un adeguato spazio espositivo nel Grand Egyptian Museum, il Grande Museo Egizio, che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha aperto con sfarzosa cerimonia di inaugurazione in mondovisione.
Ci sono voluti oltre vent'anni di lavori tra partenze, battute d'arresto, una primavera araba e la pandemia, i costi hanno superato il miliardo di dollari (provvidenziale il sostegno economico del Giappone), ma ora il museo, che aveva aperto parzialmente la scorsa estate, è visitabile in tutti i suoi 500mila metri quadri, che equivalgono a sessanta campi da calcio o a due Louvre. È il museo più esteso al mondo, un'opera faraonica: poteva essere altrimenti?
Il Grand Egyptian Museum - che il marketing locale chiama GEM, punta a 5 milioni di visitatori l'anno per risollevare un turismo azzoppato dalla crisi in Medio Oriente è sponsorizzato ovunque, in città. Per vederlo bisogna recarsi a Giza, a circa 20 km dal centro del Cairo. In una megalopoli di 10 milioni di abitanti e con un traffico indicibile e creativo tra carretti e limousine che fanno lo slalom tra sabbia e smog, Giza è ora lo uber-polo del turismo, gli hotel spuntano ovunque. Il GEM per tutto novembre è ad accesso libero: si può acquistare il biglietto, circa 23 euro, in biglietteria, ma visto il caos dei giorni scorsi (con punte di 27mila ingressi sui 20mila teoricamente consentiti) da dicembre servirà la prenotazione online (il 40% dei posti è riservato agli egiziani, a prezzi calmierati). Se avevate già visto il vecchio Museo Egizio di piazza Tahir, fascinoso e decadente gioiello dei primi del Novecento dove restano ora solo le collezioni greco-romane, resettate tutto: il GEM è altro, è la Quarta Piramide di Giza.
Il progetto architettonico è firmato dal poco noto studio dublinese Heneghan Peng Architects: qualche maligno ha detto che l'Egitto non poteva permettersi i Normar Foster o i Frank Gerhy come i più ricchi vicini di casa del Golfo, altri hanno paragonato la struttura a un centro commerciale. Il GEM è invece una gemma. Costruito in un'area ribassata di Giza, non interferisce con le punte delle Piramidi: da qualsiasi punto le si guardi, restano sempre più alte del museo. Un complesso studio prospettico permette poi di vederle da ogni angolo delle vetrate, plus non da poco. A breve aprirà una galleria con caffè e negozi che collegherà il GEM all'area archeologica: al-Sisi la inaugurerà a tempo debito, ci ha detto Robin Abdalla, di Marmonil Marble&Granite, il cui modellino in marmo del museo è stato mostrato dal presidente durante l'inaugurazione.
I suoi pezzi di design d'autore arriveranno a Milano alla prossima Design Week con il brand ABI, tanto per dire che la scena creativa locale è tutt'altro che polverosa, come dimostra il successo della mostra temporanea Forever is now, curata da Nadine Abdel Ghaffar per Art d'Egypte con opere d'arte contemporanea davanti alle Piramidi, tra cui spicca anche un Terzo Paradiso del nostro Michelangelo Pistoletto (fino al 6/12).
Il GEM ha una facciata appuntita e un ingresso piramidale perfetto per selfie di massa: le decorazioni esterne triangolari, in cemento e alabastro, sono un ottimo biglietto da visita. Dentro, ci si muove liberamente: niente percorsi obbligati, ma calcolate almeno tre ore (la collezione supera i 100mila pezzi). Il guardiano del primo piano è la statua di 11 metri di Ramses II, risalente a 3200 anni fa: a lungo al centro di una rotatoria del Cairo, ora dirige il traffico del museo. Spettacolare la scalinata centrale dove si passeggia tra sfingi, portali, iscrizioni (originali, sì) che ripercorrono 5mila anni di storia dell'Antico Egitto. Tutte e dodici le gallerie del museo hanno pannelli di sala essenziali e plurilingue (italiano incluso), senza guizzi particolari: frasi semplici guidano il visitatore, ma non mancano laboratori didattici e audioguide in 10 lingue.
La gemma del GEM è ovviamente il giovane Re Tut: sono oltre 5mila i pezzi di questa galleria, ben allestita con luci soffuse. Ci sono reperti esposti per la prima volta dopo anni di restauro come lo sgabello di legno dorato, il vaso in alabastro traslucido a forma di fior di loto, l'impressionante armatura di pelle disposta a squame di pesce, il carro, il trono, il sarcofago e poi lei, la maschera funeraria di Tutankhamon che abbiamo visto sui libri di scuola: è protetta da una teca antiproiettile e apposite guardie regolano il flusso di visitatori (effetto Monnalisa, diciamo). Tutta la collezione è travolgente tra gioielli, busti di donne dalle bizzarre acconciature, statuette animali, oggetti di vita quotidiana (come le scarpe, ben valorizzate). Significativa poi la tavoletta di Narner, che attesta la nascita dell'Antico Egitto, impressionante la barca di Khufu lunga quaranta metri.
Operazione muscolare di politica culturale, il GEM pompa l'orgoglio locale: basta guardare gli occhi dei tanti bambini egiziani in visita ("Questo è il mio popolo", ci ha detto una bimba di nove anni). Con trecento restauratori nello staff, il GEM vuole diventare anche il nuovo centro di gravità dell'Egittologia, a lungo guidata dalle università occidentali e quindi va da sé che il tema delle restituzioni è caldo sulla stampa locale.
Tra i pezzi più reclamati ci sono il busto di Nefertiti dal Neues Museum di Berlino, la Stele di Rosetta dal British di Londra e lo Zodiaco di Dendera dal Louvre, ma
il segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità egiziano, Mohamed Ismail Khaled, si tiene molto cauto sulla questione. Vedremo: l'effetto GEM sulla popolazione locale e sui turisti stranieri è solo all'inizio.