È il nuovo "neorealismo". Televisivo

In fondo, al netto della carica poetica e sfrondato dalle implicazioni politiche, il Grande Fratello potrebbe essere il corrispettivo televisivo del neorealismo cinematografico. Entrambi riprendono la realtà «così come è», nuda e cruda, nel suo bene e nel suo male; entrambi raccontano l’Italia nella sua classe (dis)agiata; entrambi mettono in scena i cambiamenti nei sentimenti, nel costume, nelle condizioni di vita. Ieri frustrazione, povertà, disperazione; oggi narcisismo, apatia, disillusione. Ed entrambi, da un punto di vista tecnico, sono caratterizzati da trame semplici, enfatizzano l’immobilità e i silenzi (o le urla e i discorsi inutili, che sono la stessa cosa), sono «costruiti» su scene di gente normale impegnata a fare cose normali, spesso senza averne la consapevolezza, utilizzando attori non professionisti. Con la vera differenza del passaggio dagli esterni all’interno. Dal Paese alla Casa.
Elevando al quadrato l’espressione «specchio della realtà», il neorealismo da un parte e il Grande Fratello dall’altro, oltre a rappresentare la vita così com’è, riflettono lo spirito del loro tempo: ignorante e volgare oggi, umile e dignitoso ieri. La differenza è artistica. Allora avevamo degli Autori, con la “A” maiuscola, dall’individualità creativa assolutamente straordinaria, come i maestri Rossellini e Zavattini. Adesso abbiamo degli autori, con la “a” minuscola, dalla serialità produttiva assolutamente ordinaria, come gli anonimi Endemol e i ghosts che scrivono i testi del Gf. È la differenza tra un capolavoro e un format. Entrambi con le stesse Ossessioni.
Per il resto, a quarant’anni di distanza, quel cinema e questa televisione hanno provato a «riprendere» il meno falsamente possibile la realtà come tale, a mostrarci gli italiani come davvero sono, a farci scoprire tutte le diverse Italie, anche le più sconosciute o di cui avevamo solo sentito parlare: povera, desolata, contadina, dialettale ieri; precaria, maleducata, stordita, coatta oggi.
Registrando un nuovo modo di guardare il mondo, le nuove morali che lo percorrono, il nuovo senso del pudore e della vergogna che si va affermando, i nuovi miti, le nuove paure, le stesse speranze - facendo tutto questo - i registi neorealisti e il Grande Fratello, in modi diversi, ci dicono: «Ecco, noi oggi viviamo qui, noi oggi siamo così». E anche l’effetto che provocano è identico. Allora come oggi ci infastidiamo a (ri)vederci sul grande o piccolo schermo. Allora come oggi non crediamo che l’Italia sia davvero quella. Allora come oggi diciamo: «Ma va’, è tutta una finzione!».
Anche Vittorio Mussolini - come tanti intellettuali di oggi davanti a una puntata del Grande Fratello - dopo aver visto Ossessione di Visconti uscì dalla sala urlando «Questa non è l’Italia!».
E invece sì. Quella che ci raccontavano De Sica, Germi, Lattuada, Maselli o Lizzani - anche se a molti non piaceva - era proprio l’Italia uscita dalla guerra e dalla crisi della modernità.

Così come quella raccontata dagli autori del Grande Fratello e dal loro cast di «personaggi» - anche se a molti continua a non piacere - è l’Italia uscita dal benessere e dalla crisi della post-modernità. Soltanto, questi interpreti sono un po’ più egocentrici e un po’ meno autentici. Esattamente come i nostri tempi.

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