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NUOVO TERRORISMO DENTRO LA SINISTRA Gabriele Cazzulini

Quanti corsi e ricorsi impazzano sui media abbagliati dal terrorismo! Cade l'anniversario dei trent'anni del '77 ed è subito un fiorire di paragoni, riedizioni e nostalgie più o meno velate, più o meno rinfrescate dall'amara attualità. A Genova le Brigate Rosse sono un marchio di fabbrica e il chiasso mediatico di questi giorni, in mezzo al silenzio sbigottito della sinistra, fa presto a cantare la rinascita dei vecchi brigatisti. Bastano poche manciate del lievito dei ricordi per gonfiare l'immobilismo di Genova, che ora si è come fissata a riguardare le sue foto di trent'anni fa. Di nuovo chiusa ed impaurita. Di nuovo vittima.
Ma il ritorno al passato è una fuga dal presente che lascia campo libero ai terroristi, vecchi e nuovi. Per capire e combattere il nuovo terrorismo non serve riappendere il calendario del '77, intervistare Castellano e Sossi, guardare al sindacato e al partito. Il nuovo terrorismo non è una replica a colori di quello vecchio. Possiede specificità, risorse, obiettivi e militanti capaci di trasformarlo in un fenomeno che non è più un rinculo del passato, ma una forza propulsiva tesa al futuro. Genova è ancora il laboratorio d'Italia. Da qui il terrorismo di ieri ha iniziato la sua ritirata perché incalzato da proposte e risposte. Qui oggi crescono i germi del malessere che armano i giovani terroristi.
A Genova voltarsi indietro non serve, perché il passato non c'è più. Le strutture che avevano fecondato il terrorismo trent'anni fa si sono estinte. L'industria pesante, la galassia portuale, l'esercito operaio e le sue grandi caserme produttive vivono solo nei ricordi. Ma anche la vecchia classe borghese non c'è più; i commercianti e il tessuto imprenditoriale hanno subito duri colpi. È arrivata la grande distribuzione e gli ipermercati hanno colonizzato le aree industriali dismesse. La composizione sociale si è fatta più complessa da quando si sono insediate differenti comunità straniere. Hanno portato nuove forme di socialità, nuove culture, nuove esigenze per le quali Genova non è preparata, né dispone delle risorse necessarie. La mobilità si è moltiplicata, costringendo una fetta rilevante di popolazione ad emigrare per lavoro. Non c'è più il blocco sovietico, ma il terrorismo islamico offre una facile sponda, insieme ai movimenti noglobal. Oggi i problemi di Genova sono questi, non quelli del '77. Questo è anche il brodo di coltura in cui è nato il nuovo terrorismo rosso.
Se chiude gli occhi, Genova ha già perso. Per vincere però non bastano le condanne automatiche delle istituzioni, la repressione della polizia e le sentenze dei magistrati. Non basta cioè il solito repertorio che aveva già fallito trent'anni fa. Ieri come oggi il fulcro è sempre la politica. A Genova la sinistra ha costruito un circuito di potere capace di asfissiare qualunque iniziativa e soffocare qualunque dissenso. Lo stesso blocco contro cui combattevano i terroristi del '77, le stesse condizioni di trent'anni fa, ma ribaltate. Non è solo una guerra civile interna alla sinistra. Le armi in politica si usano quando si diffonde la sindrome dell'accerchiamento. Quando ogni angolo di potere è occupato e monopolizzato, il potere diventa una fitta ed alta muraglia che circonda tutto. Dentro, i problemi crescono su se stessi, ma per il potere, cioè la sinistra, conta solo contenerli, schiacciarli, comprimerli. Però i problemi continuano a crescere e a premere sul muro del potere, fino a scoppiare. Le prime crepe, le prime brecce, poi i mattoni crollano sotto le picconate dei revolver.

Il terrorismo rosso è il lato oscuro del sistema politico rosso. Ora è riemerso e sta premendo contro il muro di potere della sinistra. Invece di disconoscere le sue responsabilità, la sinistra genovese dovrebbe interrogarsi, chiudendo l'album dei ricordi.

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