«Obama abbronzato». Veltroni nero

Certo antirazzismo è solo un razzismo visto di spalle, un razzismo in buona fede. Controllate: solo i titoli dei giornali italiani si sono soffermati così tanto sul colore delle pelle di Obama; il Riformista con «L’uomo nero», Libero con «Strano ma nero», il Manifesto con «Indovina chi viene a cena», Liberazione addirittura con «Black Power»: e via così. È provincialismo, certo, ma è anche una forma di razzismo blando e inconsapevole, a fin di bene: perché il razzismo non è solo l’essere intolleranti con il diverso, ma è anche il sottolineare ogni volta che comunque è diverso. È lo stesso Obama a non aver fatto della sua razza un’identità politica, anzi, ha detto che l’epoca delle identità declinate in politica lui vorrebbe chiuderla: è americano, punto. L’ex atleta Fiona May, sul Corriere, ha detto una cosa giusta a metà: «Sull’integrazione gli italiani sono 20-30 anni indietro rispetto a inglesi, tedeschi e francesi». Ecco: non parlerei tanto degli italiani ma chi li rappresenta, classe giornalistica in primis, antirazzismo identitario in primis.

Il razzismo non sarà sconfitto quando avremo presidenti anche asiatici, portoricani o di Montenero di Bisaccia: ma quando l’etnia originaria sarà irrilevante. Negli Usa ha vinto un uomo di colore, ed è uno straordinario punto d’arrivo: ma il prossimo grande balzo, per l’umanità, sarà non notarlo neppure.

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