Obama «I massacri armeni un’atrocità». Ma non parla di genocidio

In Armenia, come pure in tutte le città del mondo dove esistono comunità armene, ieri si è commemorato il 95° anniversario dei massacri degli armeni, ma le celebrazioni cadono quest’anno in un clima di appena rinnovate tensioni tra Erevan ed Ankara e preoccupanti minacce di guerra tra Armenia e Azerbaigian.
Proprio giovedì, infatti, il governo di Erevan ha annunciato il congelamento del processo di ratifica dei due protocolli per la normalizzazione delle relazioni con la Turchia firmati a Zurigo il 10 ottobre dai ministri degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ed armeno Edward Nalbandian. I documenti prevedono l’avvio di relazioni diplomatiche e la riapertura della frontiera comune, ma per essere messi in atto occorre la previa approvazione dei rispettivi Parlamenti e capi di Stato.
Dal presidente americano Barack Obama, gli armeni, soprattutto quelli della diaspora, si aspettavano che pronunciasse ieri a fatidica parola «genocidio», ovvero ciò che Erevan sostiene sia stato compiuto tra il 1915 e il 1917 dall’Impero ottomano contro un milione e mezzo di armeni. Definizione da sempre respinta da Ankara secondo cui i morti armeni in quel periodo furono al massimo tra i 300mila e i 500mila e, comunque, causati da una guerra civile che fece anche migliaia di vittime turche. Obama, invece, non si è sbilanciato e, come fece l’anno scorso, ha definito i massacri «una delle peggiori atrocità» del Ventesimo secolo, in linea con l’espressione armena «Meds Yeghern», la «grande catastrofe».

La decisione di Erevan - che era nell’aria da tempo - non ha sorpreso più di tanto il premier turco, Recep Tayyip Erdogan il quale, dopo aver ribadito che Ankara resta impegnata nel processo di pace, ha detto chiaramente di ritenere che Obama non sia stato «influenzato» dalla scelta dell’Armenia. La Turchia, in altre parole, ha percepito la mossa di Erevan come a uso e consumo interno e come tentativo di pressione sugli Stati Uniti per il riconoscimento del genocidio.

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