Obama-McCain, ecco chi deciderà la sfida finale per la Casa Bianca

La partita per la poltrona presidenziale si gioca in un pugno di Stati, dalla Florida al Colorado

Bisogna prendere la mappa degli Stati Uniti e cominciare a segnare. Ohio, Florida, North Carolina, Nevada, Missouri, Indiana, Colorado. Sette Stati, poi forse se ne aggiungerà qualcun altro. È qui che si gioca la partita per la poltrona dell’uomo più potente del mondo. Sette Stati e qualche centinaia di migliaia di elettori, padroni delle chiavi e dello zerbino della Casa Bianca. «Benvenuto Mister President». Oggi si capisce per davvero, perché finito stanotte il terzo dibattito tra Barack Obama e John McCain l’America guarderà in direzione di questi posti per sentire l’aria che tira, per cercare di indovinare, per fare i pronostici. Dicono tutti che Obama sia in vantaggio. Gli ultimi sondaggi lo danno davanti con percentuali che variano dal 4 al 14 per cento. È una tendenza nazionale che vale, ma fino a un certo punto, perché il sistema elettorale Usa assegna a ogni Stato un numero di voti elettorali ripartiti sulla popolazione: chi vince prende tutto e per arrivare alla Casa Bianca deve raggiungere 270 voti. In molte zone la battaglia è scontata, quindi contano di fatto solo gli Stati chiave. Oggi in quasi tutti, Obama è in vantaggio, ma l’abito da presidente che gli hanno cucito addosso dev’essere abbastanza scomodo. Nelle chiese evangeliche conservatrici, quelle della cintura della Bibbia d’America, si prega perché il candidato democratico perda, i fan della potenziale vicepresidente Sarah Palin ripetono ai comizi che mai e poi mai un afroamericano arriverà alla Casa Bianca. I democratici fanno attenzione a non esultare troppo in anticipo perché sanno che diciannove giorni sono troppi per pensare di aver già vinto. Poi sanno leggere e ieri hanno letto lo studio fatto dall’istituto di ricerca Gallup: nel 1980, Jimmy Carter era avanti a Ronald Reagan di sei punti a metà ottobre e perse. Nel 2000, Al Gore, a un mese dal voto, era avanti a George Bush di oltre dieci punti, ma perse. Nel 2004, John Kerry era in vantaggio negli Stati chiave a due settimane dal voto, ma fu travolto dalla seconda ondata bushiana. La rimonta è repubblicana e uno che non molla. L’ha dimostrato alle Primarie di quest’anno dove partita contro tutti i pronostici e poi è riuscito a riprendersi tutto fino alla nomination. La campagna di McCain va avanti e si concentra proprio negli Stati chiave, quelli in bilico.
GLI OCCHI SUL MID-WEST
Si comincia dall’Ohio, lo Stato che decise la corsa quattro anni fa. Oggi Obama è in vantaggio di tre punti percentuali. La macchina democratica si è concentrata qui perché qui è forte il risentimento contro Washington per la crisi economica. Prima che scoppiasse il crac finanziario, l’Ohio soffriva già delle conseguenze del crollo dei subprime. La disoccupazione cresce, la depressione economico-sociale pure. Poi c’è il fattore razziale: la comunità afro è nutrita e alle primarie aveva già votato compatta per Obama. McCain lavora alla riscossa, esattamente come fece George W. Bush quattro anni fa. Anche lui era in difficoltà a poche settimane dal voto, poi una massiccia campagna porta a porta cambiò il risultato. Con McCain c’è la cabala: ogni volta che un repubblicano ha vinto in Ohio è riuscito ad arrivare alla Casa Bianca. Il rovescio della medaglia è ovviamente il contrario: nessun conservatore è riuscito a vincere se ha perso in Ohio.
Anche a Miami, Orlando e Tampa, John McCain conta di riuscire nel miracolo della rimonta. Obama guida tutti i sondaggi, ma il candidato repubblicano resta in corsa: con lui c’è tutto l’apparato statale, a cominciare dal governatore Charlie Crist. La Florida ha dimostrato di essere in grado di cambiare opinione in fretta alla vigilia del voto. È così anche in Missouri, Stato in bilico che in passato ha votato repubblicano, ma nel 2006 ha eletto un governatore democratico e oggi pare essere schierato pro-Obama. Pare, perché per i sondaggisti Usa tre punti non sono sufficienti ad assegnare uno Stato. Per questo oggi è in bilico persino l’Indiana: qui i repubblicani le ultime volte hanno vinto con percentuali superiori al 15 per cento, mentre oggi Obama è in svantaggio di appena 3 punti.
L’INVERSIONE DEI «ROSSI»
La forza di Obama oggi sembra essere quella di ribaltare la storia in quattro Stati. Quelli rossi, ovvero il colore repubblicano. Quelli che a novembre potrebbero diventare blu e quindi democratici. Come la Virginia, dove il senatore dell’Illinois avrebbe dieci punti di vantaggio e dove un democratico non vince dal 1964: quarantaquattro anni e una storia da roccaforte segregazionista. Obama vincitore sarebbe una svolta clamorosa e oggi possibile. Così come lo sarebbe in North Carolina, altro Stato sudista e fortemente conservatore. Oppure in Colorado, dove nel 2000 e nel 2004, Bush stravinse. Stesso discorso per il Nevada. Assegna solo cinque voti elettorali e degli Stati in bilico è il più piccolo.

Nessuno lo considerava chiave fino a pochi mesi fa, perché nelle ultime due elezioni il suo voto a Bush era stato scontato. Adesso non è più così. Se è vero che gli ispanici hanno scelto Obama, allora lo Stato dei Casinò e delle squillo legali può diventare veramente decisivo. Sarebbe la prima volta. A Las Vegas ce ne è sempre una.

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