Obama: a morte i terroristi dell’11 settembre

PROTESTE Si dimette consulente di Obama: voleva chiudere la base cubana al più presto

«Li manderemmo a morte». La promessa è roboante, la certezza un po’ più traballante. La decisione di Obama di chiudere Guantanamo seguita ieri, a quasi dieci mesi di distanza, dall’annuncio clamoroso di voler processare davanti a una corte federale di New York Khalid Sheikh Mohammed e altri quattro “grandi” terroristi spacca l’America, fa infuriare i parenti delle vittime dell’11 settembre, solleva la rivolta repubblicana, lascia perplessi giuristi e politici. A contenere la rabbia dei parenti e le paure degli americani ci prova il ministro della giustizia Eric Holder, promettendo un processo esemplare segnato dalla decisione dell’amministrazione di chiedere e ottenere la pena di morte.
«Otto anni fa in una mattina che nessuno mai dimenticherà 19 uomini lanciarono il peggiore attentato mai compiuto negli Stati Uniti. Oggi – annuncia Holder - siamo pronti a un passo avanti nella lotta ai responsabili dell’attacco... condurremo i procedimenti con determinazione, chiederemo la pena di morte per i responsabili dell’11 settembre». In quella conferenza c’è anche il lato oscuro delle decisioni fatte trapelare mentre Barack Obama e il suo seguito iniziavano dal Giappone una lunga trasferta orientale. «I responsabili – aggiunge il ministro - affronteranno la giustizia proprio a New York, poco lontano da dove sorgevano le Torri Gemelle». In quella divisione di ruoli per cui i “terribili” cinque capitanati da Khalid Sheik Mohammed finiscono davanti alla corte federale di New York mentre altri quattro continuano a dipendere dalle decisioni dalle corti marziali c’è tutta l’ambiguità della linea Obama. Una linea capace di regalare le garanzie federali a chi ha ucciso “soltanto” civili e mantenere la corte marziale per i quattro, tra cui Abd Al Rahim al Nashiri autore dell’attentato all’incrociatore Uss Cole, accusati di aver colpito militari americani.
A rendere più evidente le debolezze della linea Obama contribuiscono le dimissioni di Gregory Craig, il consulente della Casa Bianca considerato l’eminenza grigia della crociata per la chiusura di Guantanamo. L’addio di Craig, reso ufficiale mentre Holder affrontava i giornalisti, è - fin qui - la defezione più dirompente all’interno della squadra presidenziale, un chiaro segnale di come la questione Guantanamo stia seminando dubbi e confusione anche tra i membri dell’amministrazione.
Le divisioni dello staff di Obama sono poca cosa rispetto a quelle di un’opinione pubblica ormai lacerata. «Concedere a dei terroristi e a dei criminali di guerra l’opportunità di godere della protezione costituzionale degli Stati Uniti è un terribile errore e non avrebbe mai dovuto esser ammessa», ha detto ieri Ed Kowalski, rappresentante di un’associazione di vittime dell’11 settembre. Ma assieme ai parenti della vittima protestano anche i cittadini comuni, preoccupati di ritrovarsi un gruppo di terroristi in un carcere a poche centinaia di metri di casa. Poi ci sono i dubbi dei giuristi, quelli di chi teme che una corte federale si ritrovi costretta a rinunciare, in fase di dibattimento, a gran parte delle confessioni e delle ammissioni ottenute con sistemi non “ortodossi”, ovvero con metodi d’interrogatorio assimilabili alla tortura e quindi legalmente inammissibili. Il caso più evidente e clamoroso riguarda proprio Khalid Sheikh Mohammed capofila dei “terribili” cinque destinati a far rotta su New York. Lui, Khalid, il terrorista che pianificò gli attentati dell’11 settembre, lo spietato assassino che tagliò la gola al giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl, ha subito durante la prigionia 183 interrogatori con annegamento simulato.

La decisione, già annunciata dai suoi difensori, di rievocarli con dovizia di particolari davanti alla corte minaccia di trasformare gli accusati da massacratori in vittime. E allora la pena capitale promessa con tanta foga e sicurezza dal ministro della giustizia di Obama rischierebbe di trasformarsi in una richiesta tanto vana quanto inesigibile.

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