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Obama raduna le truppe Ultimo assalto alla sanità

Convocati alla Casa Bianca i deputati democratici: "Sostenente la mia riforma". Oggi il voto decisivo alla Camera. Oltre 30 Stati repubblicani pronti a lanciare una "ribellione" contro la legge

Obama raduna le truppe 
Ultimo assalto alla sanità

Cose che succedono in un Paese a volte strano, ma che forse ben più spesso si rivela ai nostri occhi straordinario. Infatti, pur se anche sui calendari di Washington la giornata odierna sarebbe segnata in rosso, come una domenica di ordinario far niente, i membri del Congresso dovranno salutare la moglie, i figli o magari l’amante stagista, e uscire di casa con la borsa sotto il braccio. Per recarsi al lavoro. E c’è da giurarci che ci saranno tutti. Barbecue rimandato, insomma.

Oggi, di carne al fuoco, ce n’è tuttavia molta. Perché al voto decisivo della Camera sul discusso progetto di riforma sanitaria fortemente voluto dal presidente Obama (di questo si tratta, per questo oggi i congressmen rinunceranno a far festa) non è legato solo il destino di 32 milioni di americani ancora privi di copertura sanitaria. Da quel «Sì» o da quel «No» - e sarà una battaglia all’ultimo voto - dipenderà l’andamento delle elezioni di medio termine nel novembre prossimo e quindi la sopravvivenza oppure no dell’attuale maggioranza democratica. Per non dire della possibilità di Obama di poter sperare in un secondo mandato presidenziale nel 2012.
Non bastassero queste incognite, già di tutto rispetto, ci si mette ora anche il venticello di una nuova Secessione. Se oggi infatti dovesse passare la riforma sanitaria di Obama, più di trenta Stati a guida repubblicana potrebbero lanciare una inedita ribellione contro una legge che a loro dire è incostituzionale. Secondo Butch Otter, combattivo governatore dell’Idaho e promotore dell’iniziativa, il progetto obamiano di riforma violerebbe il decimo emendamento della Costituzione americana; là dove si dice che sono gli Stati e il Popolo a detenere tutto il potere, senza nemmeno menzionare quello del governo federale.

Per opporsi all’eventualità di quell’indigeribile «obbligo» di essere assicurati, l’Idaho e altri Stati a maggioranza repubblicana stanno votando una legge, battezzata Health Care Freedom Act, a favore della «libertà di cura». Scomodando la libertà per mascherare qualcosa che somiglia di più a un malcelato egoismo.

A placare Otter non basta la citazione di quell’articolo 6 della Costituzione che, in caso di conflitto tra due leggi, prevede sempre la prevalenza di quella federale su quelle statali. Lui tira dritto: «Qualcuno dice che la mia protesta non andrà da nessuna parte. Ma quando vedranno che con me ci saranno 36 Stati - aggiunge - capiranno che facciamo sul serio».

Ad averla presa altrettanto sul serio, del resto, è lo stesso Obama. Che ieri, dopo aver tenuto l’ennesimo comizio dedicato alla «sua» riforma, ha lanciato l’ultimo ed estremo appello ai suoi. Lo ha fatto incontrando una delegazione di deputati democratici per essere certo di aggiudicarsi oggi in aula i necessari 216 voti favorevoli del Congresso. Perché se il successivo passaggio al Senato è dato comunque per scontato, alla Camera dei rappresentanti il lavoro di convincimento e la conta delle teste ha richiesto un impegno diretto, face to face, contattando un deputato alla volta. Sottraendoli uno a uno alle «spire» dei lobbisti di parte avversa, quanto mai presenti e attivi in questa fase nei corridoi dei palazzi del potere washingtoniano. Una fase nella quale si è impegnata senza risparmio d’energie la portavoce del Congresso, Nancy Pelosi. Già dichiaratasi ottimista circa il fatto di essere riuscita a convincere anche i colleghi più conservatori, ovvero quelli che sembrano non gradire soprattutto che la riforma, sia pure con molti paletti, preveda un rimborso per l’interruzione di gravidanza. Sicurezza, quella della Pelosi, fatta propria dal Financial Times con un titolo - «Obama sull’orlo di una vittoria storica» - a tutta pagina. Resta da vedere se il presidente sia scaramantico oppure no.

Soprattutto per via di quell’espressione - «sull’orlo» - che non suona proprio di buon augurio.

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