Quanta strada in 10 anni per uno dei pochissimi marchi italiani: le Officine Panerai. L'azienda fiorentina, che negli anni 30 realizzò i primi modelli professionali subacquei per i nostri incursori, fu ceduta, nel 1997, al Gruppo Vendôme, poi divenuto il Gruppo Richemont. All'epoca la situazione non era brillantissima: gli orologi erano sì apprezzati, ma la produzione artigianale non superava le due-tremila unità l'anno. Oggi, invece, la Panerai è una realtà importantissima nel suo settore, con una produzione annuale stimabile in oltre 25mila orologi. Inoltre, l'azienda si è trasformata in manifattura, cioè progetta e realizza nello stabilimento di Neuchâtel i propri movimenti.
Deus ex machina della crescita produttiva, ma soprattutto qualitativa, è Angelo Bonati, dal 2000 Ceo delle Officine Panerai dopo aver contribuito, nel 97, al piano di rinascita del marchio. Italiana la marca regina del mare e italiano il suo timoniere, che, fra l'altro, è un grande appassionato di vela. «Forse proprio perché sono italiano», spiega Bonati, «ho lavorato perché non andasse perduta, ma anzi si rafforzasse, la legittimazione storica delle Officine Panerai nel campo degli orologi specializzati. Avevamo alle spalle un grande patrimonio di esperienze che rischiava di andare perduto se non si fossero mantenuti i valori della marca. Potevamo seguire, per esempio, la via del successo effimero, aumentando semplicemente i numeri. Invece, abbiamo optato per una crescita lenta ma costante, investendo molto in ricerca, processi produttivi e di controllo, cosicché a più numeri corrispondesse più qualità.
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