Oggi l’addio a Milosevic ma senza la famiglia Le analisi: nessun veleno

Lunghe file di fedelissimi rendono omaggio al feretro. Attesi in 100mila ai funerali, ma moglie e figlio resteranno a Mosca: minacce e poche garanzie

Maurizio Cabona

da Belgrado

Mira Markovic è stata per Slobodan Milosevic ciò che Evita Duarte era per Juan Domingo Perón. Perciò il rientro dall’esilio moscovita della vedova - per le esequie di oggi - è atteso non solo come un atto d’amore, reso rischioso dal mandato di cattura contro di lei, per reati «di regime».
Erede in pectore di Milosevic alla testa del Partito socialista serbo (Pss), perfetto e prestante gran maestro di cerimonia al Museo della rivoluzione, che ospita il feretro del defunto, Milorad Vucelic ha diffuso un comunicato che ne esclude la presenza e quella del figlio Marko, anche lui esule, «dopo le dichiarazioni contraddittorie sulla loro sicurezza». Ma Vucelic è un ex regista teatrale: come escludere che prepari un colpo di scena? Ma, anche senza Mira, ci saranno presenze importanti di politici (il presidente bielorusso Lukashenko) e di militari. E arriverà lo scrittore Peter Handke.
La previsione dei socialisti per la manifestazione di stamane davanti al Parlamento federale (lungo la strada per l’aeroporto) è di centomila persone. Con questo freddo, con una stampa generalmente ostile e con radio e tv anche più che ostili, già un quinto di centomila persone sarebbe un trionfo e un segnale politico. Che gli avversari temono, visto che hanno fatto partire una campagna di mobilitazione contro il raduno e contro i funerali: un errore lasciar morire Milosevic all’Aia, un errore negargli i funerali di Stato, un errore incitare a manifestare contro un cadavere...
Editore di Corto Maltese in Serbia, amico di Régis Debray, Vucelic raccoglie l’inatteso tesoro di simpatie che gli errori altrui gli hanno donato. Mobilitati in permanenza da una settimana, Vucelic si tiene su a dolore e orgoglio. Volto tirato di chi ha dormito poco, spiega la sua commozione, che in politica rischia sempre di passare per fasulla: «Per quattro anni, ogni giorno, sono stato l’unico a parlare al telefono con Milosevic in prigione».
Implicita investitura? «Per il momento - si schermisce Vucelic - il Pss è retto insieme alla famiglia di Milosevic». È vero che la bandiera della Serbia reca una corona, ma non pare probabile, per ora, che Marko - il figlio di Milosevic accusato di ogni crimine senza che nessuna condanna gli sia stata inflitta - possa ereditare il Partito.
Vucelic non pare aver rivali e in effetti ha statura di statista, anche quando sceglie i suoi nemici nel ministro degli Esteri, Vuk Draskovic, l’antico rivale (di destra) di Milosevic; e in Boris Tadic, il presidente della Repubblica, che chiama «hooligan» per ciò che ha detto in questi giorni, in particolare per «avere negato funerali di Stato non chiesti».
Vucelic era un intellettuale in un partito di lavoratori. Ma quando molti ex lavoratori hanno cambiato bandiera, lui ha alzato sempre la stessa. Non bastava. Ora ha trovato la sua forza nella folla paziente, silenziosa, commossa, infreddolita che sosta per ore davanti al Musee della rivoluzione non per quest’ultima ma per una restaurazione: dell’onore nazionale e della giustizia sociale.
Prima che arrivassero a Belgrado il capo del Pc russo, Gennady Zyuganov; il vicepresidente della Duma, Serghei Baburin; l’ex ministro della Giustizia degli Stati Uniti ed ex difensore di Milosevic all’Aia, Ramsey Clark; l’ambasciatore russo e quello bielorusso; quello cinese e sette dai paesi arabi, sono stati loro, il popolo serbo di Belgrado e di fuori Belgrado, a dire a Tadic che la Serbia sarà europea solo se potrà restare serba.
Se i funerali saranno coerenti con le premesse di partecipazione dei due giorni di veglia sulla collina di Dedignje, quelli di oggi non saranno funerali di Stato, saranno funerali di popolo. Il referto dell’autopsia olandese, reso noto ieri, non ha placato gli animi. I medici hanno infatti escluso che «si possa provare l’avvelenamento». Formula ambigua, che nega l’esistenza di prove dell’avvelenamento più che l’avvelenamento stesso.

Assassinio in senso proprio (ci sono sostanze tossiche che si dissolvono in poche ore e ci sono sostanze non tossiche letali per gli allergici) o prolungata omissione di soccorso, domani la mobilitazione finirà. Domani Vucelic potrà dormire, come tutti i serbi. Lunedì la vita tornerà a scorrere. Direbbe un attore caro a Vucelic: «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare».

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