Mancano ormai poche ore al responso del Bureau International des Expositions, e sia Milano, sia Smirne si dicono certi della vittoria. In realtà, Milano dovrebbe essere favorita, perché è una città con maggiori attrattive e ha presentato il progetto migliore, ma ci sono almeno quattro incognite: 1) È provato che, in questo genere di situazioni, non si può contare al cento per cento sulle promesse ricevute, specie dai piccoli Paesi particolarmente sensibili al gioco del do ut des. Se, per esempio, un governo africano impegnatosi con noi due mesi fa, avesse poi ricevuto una offerta più vantaggiosa da Smirne, non esiterebbe a cambiare campo. Non dimenticherò mai come, durante la campagna del ’94 per un seggio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, uno staterello del Pacifico fino a quel momento favorevole alla Germania promise il suo appoggio all’Italia in cambio di un allenatore di calcio. 2) Nessuno conosce a fondo l'orientamento dei 44 Paesi che si sono iscritti al Bureau nell'ultimo mese: se lo hanno fatto, pur avendo a casa propria solo fiere di paese, è sicuramente perché sperano di ricavarne qualche vantaggio. E, fino a oggi pomeriggio, non possiamo sapere se in questa corsa alle concessioni, abbia operato meglio Milano o Smirne (o meglio, il sistema Italia o il sistema Turchia). 3) I vari Paesi non sono rappresentati dai ministri degli Esteri, ma dagli ambasciatori presso l'Unesco - o in alcuni casi presso la Francia - che depositeranno la loro scheda nell’urna nella più assoluta segretezza. In teoria, cioè, potrebbero anche votare secondo il proprio capriccio, o le proprie simpatie personali magari abilmente influenzate da una delle due delegazioni; e, se non altro per rispetto verso Letizia Moratti, pensiamo che in questo gioco i turchi possano essere stati più bravi di noi. 4) La votazione cade in un momento sfavorevole per Milano, per ragioni che esulano dalle sue responsabilità. Il brutale ridimensionamento di Malpensa da parte dell’Alitalia, proprio alla vigilia dell'ora X, è stato un errore madornale, abilmente sfruttato dai turchi per sollevare dubbi su quello che era uno degli atout migliori di Milano, la facilità dei collegamenti intercontinentali; e le vicende della “munnezza” campana e della mozzarella alla diossina, per quanto del tutto estranee al capoluogo lombardo e alla contesa per l’Expo, non giovano a una candidatura puntata sull’alimentazione.
Dicevamo che, oltre che a uno scontro Milano-Smirne, abbiamo assistito a uno scontro tra i due sistemi-Paese. Per una volta, non possiamo lamentarci troppo. Diamo pure atto al governo Prodi di essersi impegnato nella campagna promozionale, anche se la scelta di affidare la maggioranza dei contatti al sottosegretario Craxi anziché al ministro degli Esteri potrebbe esserci costato qualche voto, perché la Turchia ha gettato fin dall'inizio nella mischia i suoi pesi massimi e in queste cose il rango dell’interlocutore pesa. Molto soddisfacente è stata la collaborazione tra Comune, Regione e Provincia, tutti egualmente consci dell'enorme impatto che l'assegnazione dell’Expo avrebbe non solo su Milano, ma su tutta la Lombardia, soprattutto in termini di investimenti e di accelerazione dei lavori pubblici. Oltre alle istituzioni, hanno fatto più del loro dovere anche le associazioni imprenditoriali, la Camera di Commercio e singoli poteri economici, che hanno percepito le ricadute positive che l'Expo avrà anche sulle loro attività. Ma, se è vero che Smirne può contare per il rush finale a Parigi su addirittura 716 emissari, guidati nientemeno che dal presidente della Repubblica, dobbiamo ammettere che anche il sistema avversario non è stato da meno.
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