«Ok agli aiuti ma serve più coraggio»

RomaFamiglie, banche, imprese: il pacchetto anticrisi approvato venerdì dal governo è un po’ come un medicinale ad ampio spettro. Dal punto di vista delle imprese, ingegner Moltrasio, è una cura che potrà avere effetto sull’economia?
«Sicuramente - risponde Andrea Moltrasio, vicepresidente della Confindustria - la manovra va nel senso che la Confindustria aveva auspicato, mirando a recuperare fiducia, e a rilanciare consumi e produzione. I provvedimenti anticiclici di questo tipo devono essere tempestivi, e questo decreto lo è, ma devono essere anche significativi, mobilizzando risorse importanti. E qui manca ancora qualche miliardo».
Insomma, è il solito problema della coperta corta.
«Certo, ci aspettavamo di più sul fronte delle risorse perché un intervento deve essere importante per ottenere uno shock positivo in una situazione non facile come l’attuale. Pensiamo anche che il provvedimento sia, come dire, un po’ troppo articolato: per fare un esempio, il taglio fiscale dell’Iva annunciato in Gran Bretagna da Gordon Brown è molto importante e significativo. E anche più semplice e percepibile dalla gente e dalle imprese».
Però, un primo passo fiscale nel decreto c’è: la deduzione di una parte dell’Irap dall’imposta sul reddito delle imprese. Confindustria la chiedeva da tempo.
«Quando diciamo che forse ci voleva un po’ più di coraggio, mi riferisco proprio all’Irap: sarebbe stato necessario uno sforzo maggiore per quanto riguarda la deducibilità del costo del lavoro dall’imposta. Però devo aggiungere che apprezziamo anche il rinvio di parte dell’anticipo Ires, soprattutto in tempi come questi dove la cassa è importantissima per le imprese. E apprezziamo soprattutto che dalla logica degli annunci, che ha caratterizzato il comportamento di molti governi europei, il nostro esecutivo sia passato alla logica del fare. È positivo, e Confindustria l’ha rilevato».
Più che detassare, il piano del governo è di rilanciare consumi e investimenti, attraverso i quali far riprendere l’economia. Anche perché detassare, col nostro debito pubblico, è tutt’altro che facile. Le regole europee sono diventate un pochino più lasche, ma non per l’Italia.
«Il rilancio dei consumi va benissimo. Anche qui avrei comunque preferito un po’ più di coraggio. Noi comprendiamo perfettamente le difficoltà legate alla mole del debito pubblico, ma sappiamo anche che se il prodotto interno lordo scende troppo, il rapporto debito-pil peggiora anche se l’indebitamento resta stabile. Credo che sia giunto il momento di togliere alcune incrostazioni dal bilancio pubblico: penso all’enorme spesa per le pensioni, penso a molte spese correnti non controllate. Il ministro Tremonti sta facendo molto in questo senso. Ma è necessario risparmiare sulla spesa per trovare risorse per gli investimenti».
A questo proposito, sono in arrivo fondi europei che saranno erogati in anticipo per investimenti in infrastrutture e modernizzazione.
«La rimodulazione dei fondi europei, sia i Fas che i fondi strutturali, va benissimo. È una strada intelligente, da percorrere il più velocemente possibile. Vedo tuttavia che in Europa risorgono politiche nazionali di fronte alla crisi, ed è sbagliato. Soltanto una risposta ancora più coordinata e forte dell’Unione è la soluzione giusta, non il piccolo cabotaggio nazionale».
Fra le riforme da attuare in Italia c’è quella, molto attesa, dei contratti. Pensa che il negoziato coi sindacati si concluderà entro l’anno, oppure prevarranno le resistenze della Cgil?
«Il momento richiede il massimo dell’unità e della coesione sociale. Non è l’ora delle scelte ideologiche, né il momento di cavalcare lo scontento sociale. In questo senso, sono meravigliato che non si sia ancora chiuso un accordo, quello sulla riforma dei contratti, che premia i lavoratori e aiuta la produttività nelle imprese. Comunque, voglio essere, se non ottimista, positivo.

La base è molto più vicina alle imprese rispetto all’atteggiamento di un sindacato - la Cgil - che è più attento ai problemi interni che a quelli dei lavoratori che rappresenta. A questo punto, i lavoratori si facciano sentire con i loro rappresentanti».

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