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Oliva: "Estirpiamo i ragazzi dall'ambiente che li rovina"

Compie cinquant'anni l'ex campione olimpico e mondiale: "Gomorra? Un'offesa che conosco da vent'anni. Ma io so cosa fare...". E sulla boxe di oggi: "In palestra non trovi più i topi, ma nemmeno i pugili"

Oliva: "Estirpiamo i ragazzi dall'ambiente che li rovina"

Rabbia e amore: oggi la sua boxe è questa. Patrizio Oliva compie 50 anni, numero tondo per tirare qualche somma. Napoletano vero, nei sentimenti, nelle passioni, nel modo di proporsi. Una brinata di grigio sui capelli, un po’ di veleno nei ricordi, il fisico regge.

Oliva, tutto cominciò dal quartiere di Poggioreale...
«Pensi, ogni giorno mi facevo a piedi il percorso di tre autobus: da casa mia alla palestra Fulgor. Non avevo soldi».

Una faticaccia...
«No, camminavo e sognavo. Ho sempre sognato, è stato un filo conduttore della vita. E sognare non mi ha mai stancato».

La Fulgor, la palestra dove a fine serata andava in onda il rito di «0’ veleno p’e zoccole», dove le zoccole...
«Erano i topi giganti che circolavano di notte. Prima c’erano topi e topaie, ma anche i pugili. Oggi belle palestre, ma non trovi niente. Non sai mai se stai vedendo un fighetto o un boxeur».

Oliva era un boxeur nato?
«Lo ero fin da quando avevo 8 anni. Ero piccolo, uno scricciolo: 30 kg. Ho atteso fino ai 16 anni per combattere. Alla Fulgor ci sono ancora le tacche sulla porta che segnavano la mia altezza. Seguivo mio fratello. Faceva il pugile e lo obbligavo a portarmi con lui. Era meccanico. Gli dicevo: io ti preparo la borsa, ma vengo con te. Non mi è mai passata la voglia».

Oliva, Napoli e... Gomorra.
«Non c’era bisogno di leggere Gomorra per scoprire cosa c’è in questa città. Tutti si scandalizzano ora. Ma la delinquenza esiste da sempre. Come la mafia in Sicilia, la ’ndrangheta in Calabria. Dove sta lo scandalo di Gomorra? Si sapeva tutto. Aggiungo: Napoli non è solo criminalità».

Secondo Cannavaro, Gomorra offende.
«Non sono d’accordo. Chi si offende? Ragazzi, allora sono 20 anni che mi offendo senza Gomorra».

Lei ce l’ha fatta, altri ragazzini no.
«Ce l’ho fatta perché sono nato in un quartiere popolare, senza delinquenza. Famiglia povera, ma genitori vicini».

Fortunato?
«Vero. Mi occupo di attività giovanile delinquenziale, ragazzini delinquenti perché il genitore è in galera e il dirimpettaio uno spacciatore».

E allora?
«Le carceri minorili devono essere educative, non punitive. Ogni reato dovrebbe condannare a 3 anni. Per estirpare i ragazzi dal loro ambiente. Sei mesi dentro, eppoi fuori e tutto ricomincia. No, tratteneteli e insegnate sport, arte musica, artigianato. Fate nascere qualcosa dentro di loro».

Torniamo alla sua boxe: la descriva.
«Grande qualità percettiva, capivo al volo le mosse degli avversari. La fortuna di avere una bella elasticità muscolare: ho avuto solo un problema alla mano per osteoporosi. Grande rapidità di esecuzione e voglia di non prendere pugni».

Strano per un pugile...
«Guardi che non lo ordina il medico di prendere pugni. Se riesci a evitarli è meglio. Quando c’è stato da farmi spaccare la faccia, nel mondiale contro Sacco, non mi sono tirato indietro e ho vinto. Ma anche con McGirt, nell’ultimo match, o con Gimenez a Milano. Invece Coggi mi ha proprio fulminato. Lui è stato campione per 9 anni, ma io non c’ero più con la testa».

La più grande soddisfazione?
«Il titolo mondiale: vinto tra lo scetticismo di molti. Più bello dell’oro olimpico: ero uno dei favoriti. Ho vinto tutto quanto si poteva. In Italia sono pochi come me».

Il tradimento?
«Sono stato ct della nazionale fino al 31 dicembre 2001, ho cresciuto i ragazzi che hanno preso medaglie a questa Olimpiade. Falcinelli voleva che tradissi il precedente presidente e non l’ho fatto. Ed allora ho ricevuto un telegramma e tanti saluti. Ho proposto tante idee, prima le hanno scartate, ora se le sono rubate».

Si sente fuori da questo mondo?
«Oliva è un patrimonio della boxe, nel bene e nel male. Oggi alleno Fragomeni e Branco in vista dei mondiali, al centro federale di Formia gestito da Nicola Perrone. Me lo hanno chiesto loro».

Rocco Agostino fu buon manager?
«Un bravo manager, c’è stato un rapporto di amicizia, ma non di stima pugilistica. All’angolo non l’ho mai ascoltato».

Qualcosa di incrinato?
«Quando scoprii La Rocca: uno che aveva paura. Lo vedevo in palestra, non valeva. Ma lo portavano avanti, faceva pubblicità. E trascuravano me. Non lo sopportavo. Mi dissi: questi hanno perso la testa».

Lei si è fatto largo anche fuori dal ring: cantando, ballando, recitando.
«Canto sempre, con un complesso, un gruppo di amici. Per dimostrare che il pugile non è un imbecille che fa solo a cazzotti. Ho insegnato la boxe a Massimo Ranieri per interpretare Marcel Cerdan».

E lui le ha insegnato a recitare?
«Facevamo bellissimi duetti, tra canto e pugni, nelle prove. Giuseppe Patroni Griffi mi disse: perché non interpreti il suo avversario? No, a teatro se sbagli una battuta, rovini tutti. Al cinema ci avrei provato».

Ha fatto cinema?
«In aprile uscirà un film brillante, centrato tra realtà e aldilà. Io sto nell’aldilà».

Scusi Oliva, e gli amori?
«Ho un bel rapporto con mia moglie, che auguro a tutti i miei amici. Altri amori? Al primo posto la boxe e al secondo il canto. Se rinasco faccio il cantante».

Bene, 50 anni e poi?
«Conto di campare 100 anni».

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