Olmert rilancia la road map e il dialogo con i palestinesi

Roberto Fabbri

Fedele alla linea imposta da Sharon, il suo erede politico e primo ministro ad interim Ehud Olmert ha detto ieri di sperare nella ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi dopo le elezioni israeliane del 28 marzo, che ovviamente conta di vincere. Questo, ha precisato Olmert, potrà però accadere solo se l’Autorità palestinese manterrà i suoi impegni e procederà al disarmo dei gruppi militanti armati, che gli israeliani definiscono senza mezzi termini «terroristi».
È tuttavia significativo che proprio ieri il presidente della Repubblica israeliano Moshe Katsav abbia voluto fare un’apertura al più famigerato di questi gruppi, Hamas, che ha anche un largo e crescente seguito politico tra i palestinesi. In prospettiva, ha detto Katsav, Israele potrà considerare dei negoziati con Hamas, se questa abbandonerà la lotta armata e cancellerà dal proprio programma l’obiettivo dell’eliminazione dello Stato ebraico. Hamas ha prontamente reagito, facendo sapere di non aver alcuna intenzione di disarmare e ribadendo la propria volontà di «resistere contro l’occupazione».
Il partito Kadima, fondato con una mossa a sorpresa da Ariel Sharon pochi mesi prima che un grave ictus lo mettesse fuori gioco, ha messo al primo punto della propria agenda l’impegno di continuare la politica pragmatica della pacificazione con i palestinesi, mettendosi così in aperto contrasto con il Likud, il movimento conservatore da cui gli stessi Sharon e Olmert provengono, che sostiene sulla questione una linea decisamente più dura. Rimane però aperta la questione dello stop alle costruzioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, un impegno che Sharon aveva preso ma che è stato fin qui disatteso. Il vecchio leader in coma all’ospedale Hadassah di Gerusalemme aveva anche detto che Israele avrebbe in prospettiva rinunciato a una parte delle proprie colonie nel territorio occupato con la guerra del 1967, ma ieri Olmert ha evitato di rispondere a una domanda dei giornalisti su questo argomento.
Da parte palestinese, il numero uno dei negoziatori Saeb Erekat ha chiesto che Israele mantenga i propri impegni, assicurando che l’Anp farà lo stesso. Mentre Salah Abu Khayat, comandante a Nablus delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, - il braccio armato del partito palestinese di maggioranza, Al Fatah, di cui lo stesso premier Abu Mazen è membro - ha detto in un’intervista rilasciata dal suo nascondiglio (è ricercato da cinque anni dagli israeliani) che «il fine della lotta palestinese è arrivare a un accordo con Israele e alla nascita dello Stato di Palestina». Una vittoria di Hamas alle elezioni del 25 gennaio - sostiene Abu Khayat - «sarebbe negativa per il futuro dei palestinesi, dal momento che il movimento islamico non ha una strategia di pace».


Perdura infine la grave situazione di tensione a Hebron, dopo che le autorità militari israeliane hanno decretato «zona militare chiusa» parte del quartiere ebraico per impedirvi l’accesso di manifestanti. Ma i più esagitati tra i coloni che intendono commemorare uno di loro ucciso dai palestinesi un anno fa si sono detti pronti a raggiungerlo attraversando la città araba.

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