Perugia - Il giorno più lungo finisce alle dieci di sera. Amanda, Raffaele, Rudy, ciascuno chiuso nella sua stanzetta-cella di tribunale, lo aspettavano da mesi. Nervosi, tirati, stanchi. Il tempo «congelato» non trascorre mai, persino i secondi si fanno lenti. I panini forniti dalla polizia penitenziaria hanno il sapore dell’ultimo pasto. Quello del condannato. E così sarà.
Paolo Micheli, il gup perugino che ama accarezzare il pianoforte e comporre sul pentagramma, varca la porta del camera di consiglio quando la città già comincia a prepararsi al sonno. Il «consiglio» non gliel’ha dato nessuno, toccava solo e unicamente a lui decidere del destino di questi tre ragazzi finiti in galera con un’accusa mostruosa: aver ucciso Meredith Kercher in una serata da sballo. Perché rifiutava di partecipare a un’orgia.
Lo spartito del gup è impietoso. Nove udienze e dodici ore per decidere. Alla fine niente «bonus»: trent’anni di carcere all’ivoriano Rudy Guede, l’unico che ammise di essersi trovato nella casa di via della Pergola 7 al momento del delitto; rinvio a giudizio, invece, per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, i due focosi fidanzatini che continuano a proclamarsi innocenti tra occhiate complici e, nonostante tutto, ancora dolci. Sui loro futuro, non potrà naturalmente non pesare l’esito del processo di ieri, la condanna di colui che sarebbe stato loro complice. Entrambi oltre che d’omicidio dovranno rispondere anche di furto: 300 euro e due carte di credito della vittima. Sulla possibilità di concedere loro, nel frattempo, gli arresti domiciliari il giudice s’è riservato di decidere. Entro cinque giorni.
E dire che appena poche ore prima gli avvocati della «candida» Knox si mostravano ottimisti. «Siamo molto fiduciosi - spiegava durante l’attesa l’avvocato Luciano Ghirga - se no non avremmo lavorato così tanto nel ricostruire quello che è accaduto la notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Amanda spera di poter tornare alla libertà proprio in quel mese di novembre dove ha conosciuto l’amarezza della prigione». In linea anche i legali di Raffaele: «Confido nel fatto che stasera Raffaele possa tornare a casa», auspicava Giulia Bongiorno. Nonostante i pm si fossero opposti anche ai domiciliari temendo un inquinamento delle prove.
Era la notte tra l’1 e il 2 novembre, Ognissanti, quando qualcuno tagliò la gola a Mez. Un triangolo perverso di assassini «occasionali» secondo l’accusa: il quasi ingegnere di Giovinazzo, l’affascinante americanina con cui si era fidanzato da un paio di settimane, e l’ivoriano un po’ sbandato che con le donne sapeva farci. In tre per costringere Meredith Kercher a un gioco sessuale di gruppo. Aveva 22 anni Mez, veniva dall’Inghilterra e a Perugia era arrivata con l’Erasmus per studiare l’italiano.
«È stata fatta giustizia», il commento dei suoi genitori alla lettura della sentenza.
Accompagnati da un’auto civetta della polizia padre, madre e fratello della studentessa inglese erano arrivati in aula alle 9 del mattino. Poi, il pomeriggio, chiusi in albergo ad aspettare.
L’udienza era cominciata alle 9.15, ultimo faccia a faccia, almeno in questo tribunale, tra accusa e difese. L’ultima parola all’avocato di Rudy, il primo dei tre giovani per il quale ieri si è compiuto il destino. Aveva chiesto il rito abbreviato lui. Tra mille dubbi e poche possibilità di sfangarsela, almeno una certezza: un terzo di sconto sulla pena. Visto come è andata, ergastolo evitato. Non ciò che speravano i suoi difensori. Che ripetono: «Siamo sconcertati, ricorreremo per dimostrare la sua innocenza».
Ora l’ergastolo lo rischiano il neo ingegnere pugliese e la sua «bugiarda» Amanda. Ma lui, smagrito, impaurito come un bimbo forse non lo ha capito. Quasi piange supplicando i suoi avvocati: «Ma allora quando posso andare a casa, quando sarò libero?».
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