Ondata di sexy scandali: 300mila euro per foto

La procura di Milano riapre l’indagine sulle estorsioni ai vip paparazzati. Il fotografo Scarfone: "Ne vedrete di tutti i colori". Coinvolti giornalisti, parlamentari e personaggi tv. L’ex collaboratore di Corona: ci sono scatti su Santoro e la Borromeo

Ondata di sexy scandali: 300mila euro per foto

Milano - E adesso si ricomincia. L’inchiesta più glamour degli ultimi anni, quella che ha trasformato in affare giudiziario il grande circo del pettegolezzo, degli scoop veri e fasulli, degli accordi sottobanco tra fotografi e fotografati, non è affatto finita con la condanna di Fabrizio Corona a tre anni e otto mesi di carcere per estorsione. Riparte e, anzi, punta più in alto, non si ferma più al rude universo dei paparazzi, ma prende di mira il sistema dell’informazione, i direttori di giornale, i loro rapporti con i vip da una parte e con i palazzi del potere dall’altra. «Sarà un inferno», profetizza Fabrizio Corona. «Ne vedrete di tutti i colori», garantisce Max Scarfone, il fotografo che immortalò Silvio Sircana, portavoce di Prodi, mentre vagava sui viali dei trans.

Nell’indagine riaperta dal pm milanese Frank Di Maio c’è già tanta carne al fuoco da andare avanti per mesi. Almeno venti episodi di estorsione ai danni di personaggi della politica, dello spettacolo e dello sport. Un caso clamoroso, se non altro per l’entità della cifra, quello di una foto scattata ad un politico e ritirata dietro il pagamento di 300mila euro, cifra record. Almeno quattro operatori del settore già iscritti nel registro degli indagati: oltre a Scarfone ci sono Carmen Masi, titolare dell’agenzia che proponeva sul mercato il video di Piero Marrazzo, Marco Sorge dell’agenzia Spy One, e almeno un altro operatore del settore. Tra gli atti, la testimonianza di «Bicio» Pensa, ex collaboratore di Corona, che parla delle foto scattate a Michele Santoro e Beatrice Borromeo, conduttore e inviata speciale di Annozero, e al comico Leonardo Pieraccioni. E molto altro.

La Procura milanese lavora ad una ipotesi investigativa piuttosto chiara, secondo cui a dirigere il grande traffico delle foto fossero in realtà i numeri uno di alcuni giornali. Agli atti c’è il racconto di un titolare di agenzia che racconta di avere ricevuto da un noto direttore il «consiglio» di non fare circolare una foto compromettente, e anzi di andarla a offrire al personaggio immortalato: «Altrimenti mi disse che non avrei più lavorato per loro», ha raccontato il testimone. Episodi sconcertanti eppure non rari, anzi quasi abituali, almeno stando ad alcune testimonianze.
Negli interrogatori degli indagati, compiuti mercoledì pomeriggio, il pm Di Maio è entrato in profondità nei meccanismi del mondo dei paparazzi (e sono tornati a galla nomi già entrati nell’indagine di Potenza, come quello di Massimiliano Fullin, appena assolto con formula piena), ma anche in quello dei giornali, cercando di capire i veri motivi di una serie di scelte editoriali: nella convinzione, evidentemente, che non fossero dettate da motivi puramente giornalistici. Perché un servizio sul cantante Eros Ramazzotti viene comprato da un giornale che aveva già in mano un servizio praticamente identico? Perché foto apparentemente insignificanti di Lapo Elkann con la fidanzata conquistano una copertina? Domande apparentemente di zero interesse, che però vanno a occupare - nel puzzle dell’inchiesta - posti ben precisi. Una di queste riguarda anche il reportage in cui appare Piero Marrazzo che va a fare la spesa: ma è l’unica che coinvolge l’ex governatore del Lazio, sulla cui vicenda continua per il resto a indagare la Procura di Roma.

Un elemento centrale, nell’indagine Vallettopoli-bis della Procura milanese, diventa quello dei servizi «rubati», gli scatti col teleobiettivo che incastrano i vip in momenti della loro vita privata. La Procura ha accertato che in vari casi questi reportage sono in realtà dei «posati», cioè servizi concordati a tavolino con i protagonisti, e questo già si sapeva. Ma vi sono casi in cui ad essere complice dei fotografi è solo uno dei personaggi al centro dell’obiettivo: che agisce solo con il compito di incastrare l’altro, funge da esca per metterlo in situazioni compromettenti e esporlo al ricatto. I nomi di alcune di queste «esche» sono agli atti dell’indagine, tra di esse ci sarebbe una ex attrice piuttosto famosa.

In sintesi: una Cupola del ricatto, in

cui le fotografie diventano la contropartita per passaggi di soldi ma anche di altri favori, di complicità, di appoggi. Realtà o fantacronaca? Nelle carte dell’indagine, la risposta a questa domanda probabilmente c’è già.

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