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Onna, nel paese degli spettri restano soltanto i souvenir

nostro inviato all’Aquila

A vederli così mentre attraversano il vialetto della loro casa ridotta in macerie, sembrano due fantasmi. Si tengono per mano e camminano in mezzo al fango, ai cani, ai pezzi di case e di vite caduti per terra. «Disperazione. Ecco quello che sento, solo disperazione e nient’altro». Antonella si asciuga le lacrime e stringe forte la mano di suo marito Marcello. Ha una ferita sulla fronte e gli occhi gonfi per il pianto. «Abbiamo perso tutto, tutto». Scuote la testa e poi fa un cenno del capo al suo compagno come per dire di andare via. Ora basta con le telecamere, le domande dei giornalisti e i fotografi. Basta.
Onna, martedì mattina. Sono trascorse poco più di dodici ore da quando il terremoto ha praticamente raso al suolo questa piccola cittadina a pochi chilometri da l’Aquila. Non rimane più nulla se non le macerie, il fango, i cani per la strada che abbaiano cercando i loro padroni e i pezzi di vita degli abitanti buttati lì in mezzo agli altri detriti. Il sisma si è portato via quaranta vite e chissà quante altre ne ha sepolte. «Hai in mente il rumore che fa il mare quando le onde si infrangono sugli scogli? Ecco quello è stato il terremoto. Un urlo lunghissimo e potente che faceva tremare le pareti». Per un tempo interminabile, trenta secondi quasi. Trenta secondi d’inferno. Quando lo racconta Marcello si tiene ancora più stretta la moglie. E piange. Si riprende per qualche momento e continua: «Eravamo a letto tutti e tre, con nostro figlio. Ho coperto la testa del piccolo con un cuscino e siamo andati via. Per fortuna il piccolo sta bene. Ora è con la nonna in un campo qui vicino». Alle tre del mattino, non c’era nessuno fuori, solo silenzio e macerie e polvere. «Sono uscito in mutande, scalzo, non avevo nulla. Oggi sono tornato a prendere dei soldi».
Poco distante gli uomini della protezione civile, insieme ai militari hanno allestito un campo per i soccorsi. Mentre le squadre dei vigili del fuoco accompagnano i sopravvissuti a recuperare quel poco che è rimasto nelle loro abitazioni.
C’è un silenzio irreale, straziante. Interrotto solo nel momento in cui la terra ricomincia a tremare. Il terrore torna sul volto degli sfollati quando un’altra scossa di terremoto fa crollare quel che rimane degli edifici fatiscenti. E c’è solo il tempo di scappare, un’altra volta.
Qui ad Onna rimangono solo quelli, i segni della tragedia. Li leggi sul viso degli abitanti. Li vedi mentre escono dalle loro auto, dove hanno trascorso tutta la notte, con un’espressione stravolta. Incredula, allibita di fronte ad un simile spettacolo. È rimasta solo una strada agibile, in mezzo ci camminano due anziani.
Avranno ottant’anni o forse di più. I militari sfrecciano accanto a loro, con le divise piene di polvere, gli elmetti attaccati alla cinghia e la tuta mimetica. Sembra di stare in guerra, e non è un’esagerazione. Non è l’emozione, o la suggestione del momento. Magari fosse così. Purtroppo è tutto vero. Ad Onna, i segni della disperazione sono appesi alle finestre delle case. L’altra notte qualcuno ha legato un lenzuolo al balcone per calarsi per strada e fuggire.
«Non mi è rimasto più niente», dice Andrey. È inglese, ma si è trasferito qui in Abruzzo per amore. Ieri mattina è tornato per prendere quello che è rimasto nella sua casa. Si avvicina alla squadra dei vigili del fuoco, si infila un caschetto in testa per evitare ulteriori pericoli e sparisce in una stradina in mezzo agli scheletri di case. Intanto arrivano anche gli altri sfollati, alcuni tengono le chiavi di casa in mano come se potessero davvero riaprire la porta delle loro abitazione. Altri invece aspettano lì il loro turno, in silenzio. Gli uomini della protezione civile cercano di aiutarli come possono, caricandosi sulle spalle delle sacche di tela con gli abiti degli sfollati.
Portano via cassetti interi di armadi, c’è persino un acquario con i pesci in mezzo su un muretto. «Sono riuscito a prendere un pezzo del mio computer. Ci sono le foto di mia moglie - racconta Andrey quando torna insieme ai vigili del fuoco -.

È l’unica cosa che mi è rimasta di lei».

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