di Paolo Rodari
In tempi di Vatileaks, Papa Ratzinger potrebbe tornare presto ad affidarsi ai gruppi storici che hanno fatto grande - anche a livello di governance - il pontificato del suo predecessore, Giovanni Paolo II. Tra questi, l'Opus Dei, la prelatura fondata da San José Maria Escrivá la cui università Pontificia di Santa Croce - vi ha insegnato anche Georg Gänswein, segretario del Papa - offre un insegnamento molto apprezzato nell'appartamento papale.
Sull'Opus si sono scritte molte cose. Vittorio Messori vi ha dedicato un lungo lavoro: Inchiesta sull'Opus Dei. Poi John Allen con Opus Dei. La vera storia e Patrice de Plunkette con Opus Dei. Tutta la verità. Molta anche la «letteratura del complotto», che dipinge l'Opus come una lobby che lavora nella segretezza, un gruppo di pressione che fa soldi alle spalle del Vaticano.
Bruno Mastroianni è dallo scorso 26 giugno direttore dell'Ufficio Informazioni dell'Opus. 32 anni, una laurea sul filosofo canadese Charles Taylor, Mastroianni ha preso il posto di Pippo Corigliano, storico portavoce dell'Opera, oggi giornalista e scrittore a tempo pieno. «Questa cosa del potere finanziario dell'Opus mi fa un po' ridere» dice. «Se l'Opus avesse un reale potere finanziario sistemerebbe i bilanci in rosso di tutte le iniziative di tipo educativo, sociale e assistenziale che i fedeli insieme ad altre persone promuovono in tutto il mondo».
«Il denaro non è un bene o un male in sé. Dipende da come lo usi usa», ha detto in passato al Corriere della Sera, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e, si dice, membro dell'Opus. Concorda? «Sì, è ottima dottrina sociale della chiesa, di cui Gotti Tedeschi è esperto. E aggiungo un piccolo spot in favore della virtù della povertà che poi significa distacco dai beni. Ognuno di noi può cascare nella trappola di provare attaccamento verso ciò che ha. Come i granai del Vangelo. Il tipo che accumula tutti i suoi tesori e poi si dice ora posso stare in pace. In realtà se prendiamo i beni terreni come un fine, ci auto condanniamo a una frustrazione costante. Meglio accumulare tesori in cielo».
Nessuno scrivendo dell'Opus ha fatto fortuna come Dan Brown. Se lo incontrasse cosa gli direbbe? «Mi verrebbe da ringraziarlo. È una battuta ovviamente. La sua è stata un'operazione economica di sfruttamento dell'immagine di Gesù e della chiesa cattolica, ma con essa ha ottenuto l'effetto opposto. Ricordo ancora il cardinale Camillo Ruini che all'epoca invitava ad affrontare il Codice da Vinci con una catechesi capillare su chi è veramente Gesù e la chiesa. I frutti sono venuti. Anche l'Opus ha avuto l'occasione di mostrare qual è veramente il suo messaggio. Ma non abbiamo cominciato a comunicare in occasione del Codice, lo facevamo già anni prima. Il libro di Dan Brown ha solo spinto i giornalisti a metterci finalmente il microfono davanti alla bocca: e la canzone si è sentita».
Anni fa il Guardian dedicò all'Opus una lunga inchiesta. Elencò i personaggi famosi aderenti all'Opera. Parlò di Aznar, diversi membri della Casa Bianca, del Pentagono e anche dell'Fbi, l'ex regina del Belgio, Fabiola, Bernadette Chirac. Poi in Italia Ettore Bernabei, Alberto Michelini, Giulio Andreotti, l'ex governatore di Bankitalia, Fazio. Si dice anche che Alberto Sordi regalò all'Opus il terreno sul quale sorge ora, a Roma, il Campus biomedico. Oggi ci sono ancora altri nomi, ad esempio Lorenza Lei... Tutto vero? «Questa delle liste è una specie di fissazione giornalistica che mi fa sorridere. Ce ne sono alcune su internet da sganasciarsi... Essere dell'Opera equivale al dato se uno va a messa tutti i giorni o se si confessa. Un dato che riguarda le intime scelte religiose di cui non si può parlare se non è il diretto interessato a farlo. Comunque non c'è bisogno: se uno è dell'Opus lo dice apertamente. Anche perché i fedeli dell'Opera sono piuttosto apostolici e parlano di Dio e delle proprie scelte di fede a chi gli sta attorno. Alberto Sordi, è vero, ha donato parte dei terreni del Campus in modo aperto e pubblico con tanto di cerimonia nel 2000. È una storia bellissima che parla della generosità di Albertone e dell'impegno di tanta gente a favore della terza età».
Si dice che i membri dell'Opus portino il cilicio e le «tute antimasturbazione». È vero? «Se li immagina cristiani che vivono in mezzo al mondo e che cercano di essere santi attraverso le occupazioni quotidiane con una tuta del genere? Ma andiamo
Alcune persone dell'Opera, invece, usano cilicio e disciplina. Si tratta di forme di mortificazione che appartengono alla tradizione cristiana. Anche san Tommaso Moro (un laico) usava il cilicio. E anche don Orione, e Paolo VI... Non è nulla che corrisponda all'immaginario sanguinolento di certi film, si tratta di mezzi che aiutano a unirsi alla passione di Cristo: non fanno male al corpo ma fanno tanto bene allo spirito. Le persone dell'Opera così come tutti i cristiani vivono uno spirito di mortificazione allegro e naturale, come i fioretti? La miglior mortificazione, insegnava il fondatore, è quella che rende più gradevole la vita agli altri. Io ad esempio non uso né cilicio né disciplina, ma talvolta passo l'aspirapolvere a casa».
Stando a quanto si legge sui giornali non è questo il miglior momento della chiesa. Nel 1972 Escrivá de Balaguer disse che «il male viene dall'interno della chiesa e dai suoi vertici. Nella chiesa c'è una autentica putredine e a volte sembra che il corpo mistico di Cristo sia un cadavere in maleodorante decomposizione». Cosa intendeva? «Rispondo con un fatto: il 23 giugno del 1946 per la prima volta Escrivá arrivò a Roma. Quando era ancora in viaggio vide in lontananza il cupolone che si stagliava all'orizzonte si commosse e recitò il Credo ad alta voce.
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