Ora D’Amato rischia l’espulsione dal Pdci

Ora D’Amato rischia l’espulsione dal Pdci

Sulle dichiarazioni antiisraeliane del presidente iraniano Ahmadinejad il vertice nazionale del Pdci e quello romano erano d’accordo. Parole «deliranti e da combattere» secondo il segretario del partito Oliviero Diliberto. Affermazioni «gravissime e farneticanti» per Alessio D’Amato, che dei Comunisti italiani è anche capogruppo alla Regione. Ma la scelta di quest’ultimo di partecipare alla fiaccolata organizzata dal Foglio lo scorso 3 novembre, invece, non è piaciuta ai suoi compagni. Forse perché davanti all’ambasciata dell’Iran la sinistra radicale, con Diliberto e Cossutta in testa, aveva preferito non farsi vedere. Certamente anche perché D’Amato, oltre a dare la propria adesione, si era spinto a criticare esplicitamente i «disertori» della fiaccolata: «Ritengo sbagliato e fuori luogo - le sue parole - definire strumentale una manifestazione a cui partecipano, tra gli altri, il maggiore sindacato italiano, la Cgil, buona parte della sinistra compresi Verdi e Ds, nonché i rappresentanti delle istituzioni locali tra i quali il sindaco di Roma Walter Veltroni, i presidenti di Provincia e Regione Enrico Gasbarra e Piero Marrazzo, l’Anci e l’Upi».
Normale dialettica interna? Mica tanto. Sul tavolo di D’Amato arriva una lettera di Severino Galante, segretario organizzativo del Pdci, lesto a rimarcare la «plateale contrapposizione» al leader del segretario romano, per poi criticare l’«andazzo rivolto a devastare il partito» e mettere nero su bianco un interrogativo che somiglia a una proposta di siluramento: «Vi chiedo se quanto è avvenuto si possa conciliare con la permanenza di D’Amato in funzioni di direzione nazionale». Se non è una «defenestrazione politica di un dissidente» poco ci manca, osserva il presidente della Federazione romana di An, Vincenzo Piso. Uno dei tanti che ieri, insieme alla Comunità ebraica romana, ai vertici capitolini della Margherita e ai gruppi di Verdi e Nuovo Psi in Regione, ha espresso solidarietà a D’Amato. Che, in attesa di capire le intenzioni del partito, ha rimesso il suo mandato. «Di certo - spiegava ieri - nel Pdci c’è un’involuzione. Cosa farò in caso di espulsione? Ancora non lo so, ma so quello che ho fatto in passato. Alla fiaccolata ho portato la posizione del Pdci: due popoli, due Stati». E mentre si aspettavano notizie dalla riunione della direzione nazionale del Pdci, sulla vicenda è intervenuto Diliberto, definendo «infondata» la notizia della possibile espulsione. «Il nostro partito - ha spiegato - non è una caserma. D’Amato ha preso una posizione che io giudico sbagliata, ma che resta una posizione politica. Il problema delle misure disciplinari non si pone e non si è mai posto». Ma le parole da «pompiere» dell’ex Guardasigilli non bastano a spegnere le polemiche accese dalla fiaccolata. Anzi, D’Amato di fronte al «chiarimento» del suo leader, allarga le braccia e osserva amareggiato: «Non hanno neanche il coraggio di difendere le loro azioni. Diliberto nega l’evidenza: da parte sua è una caduta di stile». Sventolando idealmente la lettera di Galante, scritta su carta intestata del dipartimento organizzativo del Pdci, D’Amato replica al suo segretario: «O prende le distanze dalle indicazioni della lettera, o devo considerare il suo silenzio assenso. Ma certo non si può sottacere tutto e parlare di infondatezza».

Sulla lettera incriminata, però, torna il presidente dei Comunisti italiani, Armando Cossutta, che tenta di smentire il valore «istituzionale» della proposta di espulsione, attribuendola a «un singolo dirigente del partito» e non «al partito stesso». Per D’Amato quella missiva resta però un «atto formale». Una censura ufficiale, insomma, che né Dilberto né Cossutta possono liquidare tanto facilmente.

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