da Roma
I primi ringraziamenti sono arrivati dal neopresidente della Figc Abete, dal numero uno della Lega calcio Matarrese e dal ministro dello sport Melandri («nessun cittadino italiano avrebbe capito una scelta diversa»). Da ieri il decreto antiviolenza è legge. Decisivo il voto di Palazzo Madama che ha approvato il testo già licenziato dalla Camera (quindi senza i tre emendamenti presentati dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia) a larghissima maggioranza: 244 sì, 20 astenuti (della Lega Nord) e un solo voto contrario.
Necessaria unintesa blindata, che vedrà già oggi avviare in sede deliberante un nuovo disegno di legge che dovrà correggere alcune norme introdotte da Montecitorio e «bollate» come incostituzionali dai senatori: la non obbligatorietà degli adeguamenti degli impianti a carico delle società sportive e laggravante specifica di lesioni gravissime in occasione di manifestazioni sportive contro esponenti delle forze dellordine. «È unintesa che fa onore al Senato», lopinione del presidente Marini. Una soluzione di buon senso che ha evitato la quasi certa decadenza del decreto, con il «lodo» proposto dal capogruppo di Forza Italia Schifani: scrivere subito il disegno di legge e inviarlo in commissione con il sostegno del governo e limpegno di un iter rapidissimo.
«Il sì al decreto contro la violenza negli stadi è il tributo di tutti alla memoria di Raciti», il commento del ministro dellInterno Amato. Che ieri mattina aveva lanciato un appello: il decreto non deve cadere, possiamo aggiustarlo dopo. Mezzora di pausa per trovare lintesa, poi il voto tra le durissime critiche della Lega (che prima ha annunciato il no, poi si è astenuta, con il capogruppo Castelli che ha parlato di «senato umiliato») e le polemiche dei senatori verso i colleghi della Camera, che in caso di modifiche sarebbero stati costretti a lavorare giovedì e venerdì di Pasqua per lultimo sì, pena la decadenza del decreto. «Le modifiche volute non appaiono frutto di una mente giuridica accorta», lo sferzante attacco di Giuseppe Di Lello (Prc), diretto soprattutto al presidente della commissione Cultura di Montecitorio e collega di partito Folena.
«Il Senato lo ha approvato nellinteresse superiore della collettività», ha sottolineato Schifani mentre Matteoli di An ha parlato di «grande senso di responsabilità».
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