«Ora devono dirci come è morto Matteo»

La sua vita era in Afghanistan. Lo aveva detto anche poco dopo Natale ai genitori, Matteo Miotto, il giovane alpino con gli ideali di un tempo ucciso in Afghanistan. Un ragazzo 24enne che credeva alla Patria e ai valori militari. Da soldato aveva fatto testamento, chiedendo di essere sepolto con chi aveva sempre ammirato: i caduti di guerra. Matteo sapeva che per loro c’è un’area riservata nel cimitero di Thiene, provincia di Vicenza. Un desiderio che purtroppo la sua città, nel più mesto primo gennaio che qui si ricordi, si appresta ad esaudire. Prima però, dovrà essere fatta chiarezza su come il caporal maggiore è morto, centrato da un cecchino, mentre era in servizio nella base avanzata «Snow», nella valle del Gulistan. Le versioni contrastanti sul punto in cui il proiettile del cecchino l’avrebbe raggiunto - alla spalla, oppure al fianco - non hanno convinto il papà del ragazzo, Francesco Miotto, 63 anni: «adesso devono dirmi come è morto Matteo». Il nuovo lutto tra i militari italiani fa discutere anche la politica. Oggi nella villetta di via Ferrarin, a Thiene, c’è un silenzio spesso che dura dal pomeriggio di ieri, quando un ufficiale italiano dall’Afghanistan ha telefonato: «è un’esperienza che non auguro a nessuno per la sua brutalità», spiega Francesco Miotto. «Chi è in linea mi chiede se sono il papà di Matteo Miotto, rispondo di sì, e dall’altra parte proseguono: “suo figlio è deceduto“». Mentre papà Francesco, la mamma Anna Dal Ferro, 55enne, si apprestavano a partire per Roma assieme alla fidanzata di Matteo, Giulia, che con i suoi 22 anni non riusciva a frenare le lacrime, qualcuno nell’appartamento accanto ha legato un Tricolore unito ad una penna da alpino.
C’è il dolore, ma anche la richiesta di verità da parte dei familiari dell’alpino ucciso da un cecchino mentre era di guardia in una garrita. «È legittimo chiedere come è morto un figlio», dice Francesco con dignità e fermezza. «È poco chiaro quello che è successo. Non voglio contestare niente, ma non capisco come un proiettile che arriva alla spalla possa colpire organi vitali». «Ieri - prosegue - mi hanno detto che era stato ferito alla spalla, adesso si parla di un colpo che l’avrebbe raggiunto al fianco. I dubbi non li ho avanzati io, ci sono delle versioni discordanti. Lo posso capire, nei momenti concitati del fatto. Ma noi familiari vogliamo capire cosa è successo. L’autopsia la faranno per questo». «Con Matteo ci siamo sentiti dopo Natale e avevamo in programma una grande festa quando sarebbe tornato a gennaio», dice la mamma Anna. «Matteo mi diceva sempre: “mamma io tornerò a casa per la famiglia - aggiunge la donna - ma la mia vita è qui, in Afghanistan“.

Ce l’aveva nel sangue il mestiere dell’alpino, la voglia di aiutare gli altri. Io ho appoggiato sempre le sue scelte». «Mio figlio era così - sottolinea - Non è vero che tutti questi ragazzi che vanno in missione di pace all’estero lo fanno solo per i soldi».

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