"Ora Gianfranco deve chiarire su Montecarlo"

La portavoce vicaria Pdl, Anna Maria Bernini: "Silenzio pesante Dimissioni? 150mila firme sono una forza...". Poi spiega: "E' tempo di responsabilità e spiegazioni agli elettori"

"Ora Gianfranco deve chiarire su Montecarlo"

Roma - Fini? «In politica noi siamo chiamati a un’etica dei comportamenti congruenti. Credo nella separazione tra pubblico, privato e personale, ma talora i piani si intersecano in maniera insidiosa. In quel caso è doveroso fare chiarezza. Soprattutto se si sono trascorsi i mesi precedenti in battaglie sulla legalità e sulla moralità».

Anna Maria Bernini, 45 anni, avvocato, è parlamentare, portavoce nazionale vicario del Pdl. Il suo nome è stato fatto anche come futuro viceministro allo Sviluppo economico. Il suo «allunaggio» in politica è avvenuto «attraverso la fondazione Farefuturo, all'epoca laboratorio delle idee di centrodestra e caratterizzata da ben altro taglio editoriale che mi aveva espresso come rappresentante al cosiddetto Comitato dei 30, presiesuto da un Fini in versione non finiana ma di cofondatore, dove si sono fatte prove generali Di Pdl, perché l'intento era quello di scrivere la carta delle regole di un grande partito unito di centrodestra».

Sulla vicenda monegasca, i troppi misteri della casa in cui vive il «cognato» Giancarlo Tulliani, la Bernini dice di «confidare, anzi auspicare un chiarimento».

Ma l’intesa politica, quella è finita. Lei e' rimasta nel Pdl, ancorata a quel progetto iniziale in cui dice di credere con entusiamo e per il quale, anche nell'ultima impegnativa sfida contro Errani, ha speso tante energie. «Ho sempre diffidato fortemente dei monopolisti e dei concessionari in esclusiva della legalità, della moralità che di solito trascende in moralismo. Chiunque si erga a giudice unico dei comportamenti, per lo più altrui, crea degli standard così elevati da essere comunque travolto. È un po’ la sindrome di Saint-Just: chiunque costruisce la ghigliottina in piazza prima o poi ne assaggia la lama. Questo è il tempo della responsabilità per il governo e delle azioni positive e dei risultati che contribuiscono a far crescere il Paese e a portarlo più' forte e più' moderno fuori dalla crisi.».

Ma lei che idea si è fatta sulla vicenda di boulevard Princesse Charlotte?
«Ripeto, è il momento del chiarimento. Mi auguro avvenga con la ripresa dell’attività politica, magari al convegno di Mirabello di cui tanto si parla. Certo, c’è stato un silenzio pesante questa estate, molto si è detto senza contraddittorio, per ora. Cose che danno inevitabilmente anche alla politica degli spunti di riflessione. Le persone osservano la politica, bisogna che chi fa politica sia disponibile a dare delle spiegazioni quando è necessario».

Centocinquantamila italiani ci hanno scritto per chiedere le dimissioni di Fini da presidente della Camera. Ma i vertici del Pdl non ci seguono. Fini deve lasciare Montecitorio?
«Fatico a darle una risposta, in mancanza di dati, spiegazioni e chiarimenti. Fini deve chiarire. Io non ho mai chiesto le dimissioni di nessuno, non sono una garantista a corrente alternata, non ho mai agitato le dimissioni come uno scalpo. Bisogna che politica e magistratura facciano ciascuna il proprio lavoro e che le cose siano esaminate sempre dalla stessa prospettiva, non cambiandola a seconda della convenienza».

Riproviamo: dimissioni sì o no?
«Non voglio che la mia risposta le sembri omertosa, ma queste decisioni spettano all’organigramma del partito secondo itinerari corretti. Certo, la vostra inchiesta giornalistica ha fatto emergere delle tesi. E le 150mila richieste di dimissioni rappresentano una evidente chiamata di responsabilità della società civile».

Ma lei perché non ha seguito Fini in Futuro e Libertà?
«Io sono figlia del Pdl, del progetto Pdl, della sua capacità di riattivare la società civile, di porsi come ponte tra le esigenze dei territori e l’attività istituzionale. Per me è stata una scelta assolutamente necessaria continuare a credere in un progetto in cui il presidente Fini, insieme ad altri soggetti politici, nella sua qualità di cofondatore del Pdl aveva fatto confluire tutti noi».

E allora rovesciamo la domanda: perché Fini ha lasciato il Pdl?
«Le motivazioni sono ovviamente politiche e attengono alle modalità espressive dei singoli. Quello che le posso dire è che secondo me si prospetto un problema di rappresentanza di un popolo, quello del Pdl, che negli ultimi anni nelle urne ha più volte benedetto, consacrato il progetto di un partito unico del centrodestra. Siamo stati legittimati dal popolo su un programma, su una coalizione, e su un leader, Silvio Berlusconi, che tra i leader europei gode del più ampio consenso popolare. Questa è la nostra mission di legislatura ridefinita da ora in poi sulla base dei cinque punti. Il senso forte del ritorno alla politica autunnale è quello di tener conto di questo comune mandato che ci viene chiesto di rivotare alle Camere in maniera convinta, cui devono seguire comportamenti coerenti».

Altrimenti che cos’è: un tradimento?
«Diciamo una secessione di eletti, non di elettori. Di una classe dirigente, non del popolo. Che, glielo dico per averne avuto prova nella mia attività sul territorio, non riesce a comprendere ciò che è successo.

Io sono felice di sapere che si stanno facendo da parte del nuovo gruppo parlamentare autonomo delle dichiarazioni di distensione di apertura all’adesione a un programma sotto l’egida del quale, voglio sottolinearlo, tutti siamo stati eletti. In questo senso non comprendo ciò che abbia portato Fini alla deviazione del percorso. Se i motivi erano programmatici, bisognava discuterne all’interno del partito».

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