Roma Walter Veltroni non si è fatto vedere, Massimo D’Alema ha taciuto tutto il giorno e si è astenuto durante le laboriose votazioni nella direzione del Pd di ieri.
Il congresso è ormai convocato per l’11 ottobre, seguiranno il 25 le primarie. «È improponibile rinviarlo», ha tagliato corto Dario Franceschini aprendo la riunione, e tagliando la strada ai tanti («la maggioranza silenziosa», dice la governatrice del Piemonte, Mercedes Bresso) che premevano per un rinvio del redde rationem interno a dopo le regionali del prossimo anno. Anna Finocchiaro, la capogruppo che aveva annunciato un documento pro rinvio, che rischiava di prendere molti voti, alla fine ha rinunciato. Su pressione di D’Alema, dicono i più.
I due convitati di pietra dello scontro congressuale Pd, Walter e Massimo, che da opposte barricate guideranno le truppe in opposte direzioni, sono rimasti dietro le quinte della direzione. Avversari su tutto, avviati alla resa dei conti finale ma impegnati entrambi, silenziosamente, su un obiettivo comune: sventare l’ipotesi del «terzo uomo», quello che potrebbe far saltare tutti i conti delle assise, mettendo a rischio anche il quorum delle primarie. Un fantasma che si è materializzato, spaventando molti, nella persona del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, invocato da una vasta area del partito come l’unico in grado di rompere il gioco che si è innestato: Franceschini contro Bersani, Veltroni contro D’Alema, alla fine anche «ex Dc contro ex Pci, col rischio serio che stavolta chi perde se ne va dal partito», come sintetizza brutalmente uno dei dirigenti «terzisti».
Per ora, Chiamparino frena: «Allo stato attuale non c’è nessuna mia candidatura», dice. Ma aggiunge: «La politica mi ha insegnato che non bisogna mai dire mai, ci possono sempre essere cambiamenti repentini che non dipendono da noi». Insomma, fino al 21 luglio c’è tempo, e Chiamparino rifletterà ancora. A frenarlo, soprattutto, c’è la necessità di evitare quello che la Bresso chiama «effetto Veltroni», l’abbandono della poltrona di sindaco per fare il leader. «Tra un anno ci sono le regionali, tra due le comunali: se do l’impressione di mollare per fare altro gli elettori ci puniscono, e rischiamo di perdere entrambe», ha spiegato Chiamparino ai suoi numerosissimi interlocutori di queste ore. Ma vuole darsi ancora qualche giorno per valutare quanto vasta sia l’area degli «scontenti» che potrebbero appoggiarlo, dentro e anche fuori dal partito. Tutti ci hanno parlato: chi per incoraggiarlo (da Bettini a Vitali, dalla Melandri al fassiniano Morri ai «quarantenni»), chi per dissuaderlo, da D’Alema agli emissari di Veltroni. E per tirarlo dalla propria parte, perché se non si candida la sua scelta avrà comunque un peso. I veltroniani facevano circolare un possibile endorsement per Franceschini, che lo ha chiamato in segreteria. Dal fronte opposto veniva assicurano: «Sergio starà dove sta la sua storia», quella di un ex ds.
In mancanza di Chiamparino, ci saranno altre candidature: Bettini continua a puntare anche su Ignazio Marino, Rutelli lancia Linda Lanzillotta, Parisi non esclude di esserci. Ma lo scontro vero sarà tra Franceschini e Bersani, con i meccanismi demenziali di uno statuto che - dice Franco Marini - «sembra scritto dal dottor Stranamore» e che tutti vorrebbero buttare nel cestino. I dalemiani si dicono certi di vincere: l’apparato più forte, quello Ds, sta con loro, e con loro stanno molti «signori delle tessere» (Bassolino per fare un esempio, e l’Emilia) che si trasformeranno anche in «signori delle primarie». Secondo statuto, il segretario è anche il candidato premier.
Ora Massimo e Walter hanno paura di mister X
D’Alema, sponsor di Bersani, e Veltroni, schierato con Franceschini, convitati di pietra alla direzione Pd che ha fissato il congresso. Ma dietro le quinte i due big cercano di sventare la candidatura del terzo sfidante. Bettini: Dario? ci serve un Marchionne
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